Altro che giornata divisiva. Il 25 aprile è di una chiarezza che fa impressione, anche se ultimamente si è costretti ancora a ribadire: è il giorno in cui l’Italia si è liberata dal nazi-fascismo. Ma il 25 aprile non segna una vittoria militare. Per l’Italia è il giorno che fa da spartiacque tra la violenza politica e la democrazia, tra la visione statolatrica e il riconoscimento della Persona.

E’ da queste radici che nasce la nostra Costituzione. Se qualcuno trova questo divisivo vuol dire che sta dall’altra parte della barricata. Cioè, al di fuori della sostanza e dello spirito della nostra Carta che segna e concretizza il percorso democratico che l’Italia decise di scegliere e che rinnova fortunatamente ogni volta.

Il 25 aprile significò cambiare pagina e riscatto dal fascismo e dalla sua violenza politica. Liberarsi dalla vergogna del sovvertimento dello Stato democratico, anche se quello del 1922 era ampiamente ancora imperfetto; dei delitti compiuti dagli agenti dell’Ovra in Italia e all’estero; dell’invasione dell’Etiopia e dall’uso dei gas per sterminare le sue genti, così come accaduto per quelle della Libia; delle leggi razziali; dell’opportunismo che trascinò l’Italia in guerra; della vera e propria criminalità espressa dopo l’8 settembre 1943.

Il 25 aprile, dunque, come “lavacro”, questa volta nobile, che consentì all’Italia di tornare nel novero di quei paesi che possono definirsi civili.

Non serve a molto disquisire oggi sui parallelismi con le condizioni del popolo ucraino che trova a difendersi da un’arrogante e violenta aggressione. E’ certo, però, che il nostro celebrare il 25 aprile, il nostro goderci libertà, pace e sviluppo non potranno mai essere pieni fino a quando tanti altri 25 aprile non finiranno per riguardare tanti popoli oggi costretti a subire guerre e violenze portate da altri, che si tratti di guerre ufficialmente dichiarate o meno.

Giancarlo Infante

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