Da troppo tempo la questione meridionale è stata ritenuta un problema di risorse monetarie, come se per sviluppare società, che per molteplici ragioni rivelano difficoltà di inserimento nel sistema economico vigente, i soldi fossero lo strumento risolutivo.

Ci sono ormai valanghe di ricerche che dimostrano che questo non è vero, eppure non se ne vuole prendere atto.

Il motivo è che rendere disponibili soldi è il modo più facile per evitare di approfondire le ragioni delle difficoltà e cercare modi efficaci di affrontarle. Sporcarsi le mani con i problemi, infatti, richiede coinvolgimento sia nelle analisi, sia nelle soluzioni, e accompagnamento.

Farò un esempio assai chiaro. Quando alla fine della II guerra mondiale gli americani si risolsero a contribuire sostanziosamente alla ricostruzione dell’Europa per ragioni geopolitiche, avrebbero potuto trasferire dollari. Invece, fecero qualcosa di molto diverso, per cui il loro intervento restò negli annali della storia come un unico e straordinariamente efficace. Il Piano Marshall richiese agli stati che avrebbero ricevuto gli aiuti di preparare un piano di sviluppo quadriennale, che stabiliva gli obiettivi da raggiungere, e quindi piani esecutivi annuali, che indicavano i fabbisogni di importazioni, fornite dagli americani a loro spese.

Non arrivarono dollari in Europa, ma beni che permisero la ricostruzione. Gli americani seguirono da vicino l’amministrazione di questo piano per tutti e quattro gli anni, con risultati di aumento del PIL e degli investimenti straordinari, che innescarono i miracoli economici.

L’esempio del Piano Marshall vale oggi per il metodo, e non per il merito, naturalmente. Si hanno ormai fin troppe analisi su ciò che è carente nel nostro Mezzogiorno.

Si costruiscano dunque gruppi di lavoro che mettano in fila le priorità per imbastire a livello di ogni regione progetti d’azione a medio termine con finalità precise, ai quali vengano fornite risorse mirate (e non a pioggia), che in parte si possono ottenere dall’Europa. Quello che più conta è che si deve istituire un gruppo di monitoraggio dei risultati concreti man mano raggiunti, in cui vengano nominate persone di provata competenza e moralità. Se ne trovano tante nel Mezzogiorno, per nulla valorizzate, ma anche da fuori si può inserire qualcuno che possa dare una mano. Ai gruppi di lavoro che faranno parte di questo sistema di monitoraggio deve anche spettare il compito di indicare quali leggi/regolamenti devono essere resi più collaborativi e quali blocchi si frappongono alle realizzazioni indicate.

Durante il Piano Marshall, alla fine di ogni anno gli americani stilavano uno studio di “ work in progress” per ciascuno dei paesi che facevano parte del piano, dove indicavano i risultati raggiunti, i problemi irrisolti e le cose da fare.

Non si verrà mai fuori dai circoli viziosi se non affrontandoli direttamente con cognizione di causa e costanza. Lasciare alle mere forze del “mercato”, che troppo spesso è un mercato contagiato da elementi malavitosi, la soluzione dei problemi di difficoltà economiche non ha mai portato a successi.

Il metodo sopra delineato ha anche il merito di sfruttare il capitale umano dei territori, mettendolo in rete, e di offrire alla politica locale una chance di muoversi verso quella “democrazia deliberativa” che sola ci può portar fuori dalle secche dell’inadeguatezza e dell’inconcludenza delle proposte avanzate.

Vera Negri Zamagni

 

Foto utilizzata in questo articolo ripresa da Shutterstock

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