Il sistema delle imprese italiane è valido, ma non è supportato da una politica industriale adeguata.

Il cambiamento nel sistema della produzione è dunque imperativo: il vantaggio competitivo di un’impresa non è più quello limitabile all’innovazione di processo o di prodotto, ma è più ampio, più orizzontale che verticale; e riguarda tutto il ruolo di gestione dell’organizzazione produttiva, cioè la gestione dell’impresa.

La nuova competitività, infatti, si ottiene con il superamento dei tradizionali modelli organizzativi piramidali, mediante la riformulazione dei processi secondo logiche organizzative orizzontali.

L’attuale tecnologia, appunto, consente l’applicazione di  logiche a rete costituite da team autonomi, tra loro interconnessi, che si possono valere di collaborazioni sistemiche e di partnership con agili aziende start up, promosse anche appositamente.

E’ necessario innovare nel rapporto con il mercato, rendendo disponibili i propri prodotti ed i propri servizi mediante piattaforme “on line”. In termini molto nuovi, la moderna gestione dei processi aziendali mira a tradurre i risultati aziendali in nuova conoscenza che va, a sua volta, applicata in nuovi processi per nuovi prodotti. E’ la sfida del cambiamento continuo da inseguire per essere competitivi nel mercato globale.

In questo nuovo scenario, non è più vero che “piccolo è bello”.

Le grandi imprese, infatti, sono quelle più digitalizzate. Le piccole e medie imprese fanno fatica a fare propria la trasformazione digitale in atto, perchè chiede un rinnovamento profondo del lavoro, che va riorganizzato in reti di conoscenze, di iniziative, di capitali investiti.

Il mondo del lavoro è, così, sottoposto a nuove radicali trasformazioni, non pensabili fino a qualche anno fa.

E’ in atto anche un nuovo processo di formazione del management aziendale rispetto al passato tradizionalista; in questo cambiamento va collocato anche il ruolo del cliente che da consumatore passivo diventa attivo produttore di informazioni digitali che diventano determinanti per la formazione della conoscenza manageriale e delle conseguenti decisioni aziendali.

Gli esperti del digitale sostengono che siamo agli inizi di un nuovo scenario dove, come già accennato, nuove tecnologie, e conseguenti nuovi modelli di consumo rivoluzioneranno interi settori: dai trasporti alla distribuzione, dal turismo ai servizi finanziari. Cambieranno i lavori attuali: dall’avvocato all’agente di viaggio.

Il Politecnico di Milano stima che, nel 2025, il lavoro manuale sarà pari al 48%; mentre quello eseguito senza l’intervento dell’uomo sarà del 52%.

Se ne deduce, dunque, un cambiamento dei profili e delle competenze lavorativi, con un forte sviluppo della cultura digitale personale. Per innovare, l’azienda deve sviluppare spazi di lavoro virtuali unificati; luoghi virtuali in cui le persone possono avere a disposizione tecnologie coerenti alle diverse esigenze lavorative; deve favorire l’utilizzo degli spazi fisici differenziato a seconda delle esigenze professionali delle persone; deve introdurre modelli che consentano alle persone di lavorare in luoghi differenti dalla propria sede legale di lavoro.

La digitalizzazione, in altri termini, ripropone un tema già molto presente nel dibattito aziendale già negli anni sessanta: dare maggiore flessibilità al lavoro ed autonomia alle persone, con una elevata responsabilizzazione sui risultati. Ci si chiede se, quello descritto, sia uno sviluppo sostenibile a livello umano.

Dunque, le persone diventano il vero capitale dell’impresa; la loro intelligenza va valorizzata, non sacrificata. Non ci sono donne e uomini che siano incapaci di capire quello che accade, e quindi di parteciparvi creativamente.

La via da seguire è investire massicciamente, in maniera maggiore e diversa dal passato, nell’educazione e nella formazione continua con l’attuazione di un grande programma nazionale di cui per ora non si vede traccia nella recente manovra governativa giallo-verde tutta ispirata ad altre priorità.

Notizie recenti danno per realistica una previsione economica di recessione per tutto il 2019. Proprio quando sembravano esserci segnali in controtendenza rispetto alla pesante crisi economica che perdura dal 2008, questa triste novità ci porta ad avere forti dubbi sulle recenti scelte governative in questo settore.

Si è preferito, infatti, incentivare i consumi domestici incrementando la spesa corrente (reddito di cittadinanza e pensioni) a spese delle casse dello Stato e degli investimenti pubblici.

Siamo  lontani anni luce dai paesi più evoluti che, per produrre ricchezza, hanno operato con decisione e fermezza investendo in ricerca e sviluppo, nelle strategie innovative, nella information technology, nella formazione delle risorse umane, avendo ben chiaro come l’avvento dell’intelligenza artificiale imponga un continuo rinnovamento dei processi di accumulazione, condizione imprescindibile per lo sviluppo del sistema produttivo.

Il sistema delle imprese, dunque, chiede atteggiamenti coraggiosi per una gestione positiva di cambiamenti in atto.

L’Italia è ricca di ottime imprese; tuttavia, per vari motivi, non riescono a crescere e rischiano di sparire. Il made in Italy è fragile; la politica industriale, soprattutto, non tutela la qualità, la tecnologia, la ricerca, lo stile, il lavoro che sono alla base dei prodotti fatti in Italia.

In questo contesto, le imprese italiane, soprattutto le piccole e medie, si dannano a innovare, a diventare più competitive , ad esportare. Ma si trovano di fronte ad una barriera da superare: la carenza delle infrastrutture, in particolare delle deboli reti di comunicazione a banda larga, essenziali per i collegamenti digitali. La logistica cioè ferma la competitività delle nostre imprese, soprattutto di quelle minori.

Le imprese italiane hanno una radicata tradizione di esportazioni. Da qui , è essenziale una relazione corretta con l’Europa nel contesto di un mercato globalizzato, che non è la rigida austerità di questi anni, bensì bisogna puntare sulle nuove tecnologie a livello europeo.

Uno strumento da utilizzare, soprattutto dalle piccole e medie aziende, sono i “competence center” che prevedono che lavorino insieme  giovani imprese, università, centri di ricerca. Una sinergia che consente soprattutto alle piccole medie imprese di abbattere significativamente i costi interni di ricerca e sviluppo.

E’ una via da percorrere per facilitare la sintesi tra industrie e servizi, tra fabbriche e università, tra laboratori di ricerca e linee di produzione.

Altro strumento sono gli accordi contrattuali tra i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro per sostenere formazione e produttività.

Accanto a questi strumenti, valide sono le agevolazioni fiscali, quali il super ammortamento ed il patent box (agevolazione ai brevetti).

Inoltre, in Germania hanno elaborato un piano nazionale per l’effettuazione di interventi  pubblici per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

Dunque, le nuove tecnologie digitali finiscono per essere veramente produttive e creative se usate con saggezza e cognizione di causa.

Come dice Antonio Calabrò in “L’impresa riformista” serve un nuovo umanesimo industriale da cui trarre una nuova cultura di impresa.

Questo obiettivo non c’è sia nel contratto stipulato tra Lega e 5 Stelle, sia negli atti di governo.

C’è, invece, l’assenza di una politica industriale attiva; si preferiscono le misure assistenziali a politiche strutturali di cambiamento (innovazione, formazione, infrastrutture).

Roberto Pertile

 

Foto utilizzata: Shutterstock

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