I giornali sono sempre più pieni di notizie che riguardano politici, amministratori e funzionari regionali e locali, uomini dello Stato, imprenditori impegnati nella raccolta o distribuzione di mazzette, in attività di corruttela, manipolazioni di concorsi ed assunzioni.

Uno stillicidio impressionante che colpisce in tutte le direzioni e tutti i partiti, vecchi e nuovi. Sembra non risparmiare alcuna regione, alcun schieramento. Eppure, sappiamo accade ancora altro sotto la punta dell’iceberg. Sia per quanto riguarda la gestione della cosa pubblica, sia per ciò che concerne un malaffare strisciante, a ” minore densità”?, ma continuo e costante, anche nel privato.

C’era stato raccontato che, con la Prima repubblica, questo Paese si sarebbe liberato da certe piaghe. Non è stato così ed è venuto il momento di affrontare di petto il vero problema: la questione delle classi dirigenti.

Tema antico. Fin da immediatamente dopo il compimento dell’Unità d’Italia quando i liberali parteciparono alle prime grandi speculazioni immobiliari e posero le basi della lunga stagione di scandali bancari e di occupazione dei gangli vitali dello Stato, delle amministrazioni locali e delle università, con le loro baronie e camarille.

E’ in questo contesto, nella mancanza di vera e propria ” rivoluzione” culturale ed organizzativa, che dobbiamo parlare di rigenerazione delle istituzioni e della cosa pubblica, della fuga di cervelli, delle buche nelle strade, dei ponti che crollano, della carente manutenzione della cosa comune.

Un tema che non può non riguardare quanti aspirano a farsi guida dell’intera Italia cui deve essere chiesto il coraggio d’intervenire.

Molti miti, infatti, sono oramai sfatati. A partire da quelli che volevano la criminalità organizzata, e la sua incombenza su politici ed istituzioni, confinata solo ad alcune regioni e non ad altre, fino ad ieri raccontate, e presunte per assioma, vergini ed illibate.

La Capitale, dopo le vicende della Banda della Magliana, si riscopre contaminata dai Casamonica e dagli Spada. C’è un pesante carico di zone d’ombra che avvolge taluni ambiti imprenditoriali e delle professioni e, per quanto riguarda la politica, numerosi ambienti. A partire da quelli della destra. Quella stessa destra che continua a richiamarsi ai valori, all’identità, al governo del fare e dell’efficienza. Una destra che ha parlato sempre, e parla ancora, di buon governo. Poi, messa alla prova, scopriamo aver aggravato le condizioni del bilancio del Campidoglio e delle sue municipalizzate. Ha espresso, nè più nè meno, le stesse qualità del mal governo della sinistra. Non può bastare ad un paese come l’Italia, che pure ha un piede nella modernità, l’accontentarsi della banale e qualunquistica sottolineatura del ” sono tutti uguali”.

Spuntano come funghi le inchieste sulla operatività concreta di mafia e ‘ndrangheta nelle amministrazioni anche del centro nord. E’ questione su cui molti preferiscono continuare a sorvolare.

C’era stato raccontato come, con la fine della Prima repubblica, fosse stato segnato uno spartiacque tra corruzione e cattiva politica. La questione morale italiana veniva finalmente superata e, altrettanto finalmente, un nuovo modello di personale politico prendeva corpo.

Lo sdegno contro la corruzione, quello vero perché legato ad autentici casi di malaffare,  quello strumentale perché parte della lotta politica, venne utilizzato per eliminare i grandi partiti popolari.  Fu un modo per evitare la modernizzazione dello Stato e delle amministrazioni pubbliche locali. Non si operò attorno alle leggi sugli appalti, oltre che ai meccanismi dei concorsi e delle assunzioni. Si evitò, in sostanza, di avviare una efficace selezione di possibili nuove classi dirigenti.

Le grandi inchieste si fermarono di fronte a certi portoni. Delle organizzazioni ” riservate”, o persino pericolosamente segrete, si preferì cogliere solamente ciò che potesse far parlare ai giornali, e alle carte di alcune indagini giudiziarie, del potenziale pericolo da loro rappresentato per il sovvertimento delle istituzioni. E il resto?

Omissioni gravi, perché hanno creato gli antefatti di una continuità.

In realtà, non sempre le denunce dell’epico periodo di ” mani pulite”si rivelarono in grado di dimostrare la colpevolezza dei politici coinvolti. Molti di essi si ritrovarono assolti, ma rovinati nella vita e nella reputazione senza mai riuscire ad ottenere un adeguato risarcimento. Eppure, a quelle vicende si fa spesso riferimento per raccontare una verità che dobbiamo riconoscere, oggi, rischia di restare parziale.

L’attuale classe politica della maggioranza governativa trova, per un verso, i propri geni nel cappio mostrato dai leghisti in Parlamento tanti anni fa. Intanto, aspettiamo di ricevere ancora risposte soddisfacenti su quello che è stato combinato in Via Bellerio e dintorni. Dall’altro verso, tutto nasce con il Vaffa Day di Beppe Grillo, oggi costretto a fare i conti anche con gli indagati che ogni tanto spuntano tra i suoi. C’è una riflessione in corso o ci si limita a frettolose espulsioni o, altrettanto, frettolose assoluzioni solo dei propri amici?

E’ venuto il momento di una vera e franca analisi su corruzione e malaffare. Soprattutto di individuare, con il coinvolgimento di tutti, perché è questione che tutti riguarda, quei meccanismi capaci di rendere questi fenomeni episodici, non endemici.

Il punto 15 del Contratto del Governo per il cambiamento parla proprio della lotta alla corruzione. Peccato che, finora, Salvini e Di Maio si siano accapigliati o accordati su altro, mentre anche il Pd sembra alla ricerca di “ un tempo perduto”, ma destinato a riguardare … altro.

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