Riconosciamolo: nella vicenda che non a caso gli è costata la poltrona di vicecancelliere austriaco (in altri tempi avrebbe potuto avere come capo un Metternich, mica noccioline) Heinz-Christian Strache ha fatto per lo meno la figura del pisquano.
Gli si presenta una attraente signora che parla gorgheggiando sulle vocali come se fossero il saliscendi su rotaia di un lunapark. Gli dice: sono la nipote di un magnate russo. E lui, invece di ricordarsi di chi fosse in realtà la nipote di Mubarak, le dà appuntamento in una villa ad Ibiza. Un luogo che trasuda cimici da tutti i buchi dei foratini.
Si siede sul divano. Lei gli sussurra: “Ti voglio dare un sacco di soldi per diventare importante”. E lui non pensa mica al Gatto e alla Volpe, no, ma le risponde: “Dai, facciamolo! Come fanno in Ungheria”. E prosegue: “Dopo chiedimi quello che vuoi: terre, palazzi, gioielli e una fetta di limone nel tè”.
Affare fatto.
Ma c’è un particolare. “Se compriamo il principale giornale austriaco abbiamo un impero”, si sente nel video che la signora poi gira a chissà chi, che a sua volta lo gira a due testate tedesche, che guardacaso lo tirano fuori nel pieno della campagna elettorale delle europee. Il fatto è che quel giornale che si vuole comprare per diventare ancor più ricchi e potenti (“i giornalisti sono puttane”) deve servire a contrastare un’entità ben precisa.
Si tratta della Orf, la televisione di Stato. Qui il sovranista uccellato ha uno sprazzo di lucidità, e sottolinea che la televisione pubblica austriaca è vista come il nemico più temibile dell’ondata slavofilo-sovranista che – dicono i maligni – si ingrossa nel vento che soffia dal Cremlino.
Sì: la piccola televisione di un paese di pochi milioni di abitanti, ma che è una delle più solide e stabili democrazie occidentali, è in grado da sola di far paura a tutti: sovranisti, smanettoni e partiti di destra estrema. Lì, parrebbe di capire, i giornalisti non sono donnine allegre, e forse sono gli unici a non esserlo in questa storia.
Elogiamo a questo punto il vecchio, caro servizio pubblico. Resta sempre una garanzia. A forza di lamentarci del canone capita che ci dimentichiamo di quanto molta della nostra libertà dipenda anche da esso. E se da noi talvolta non è all’altezza, è perché gli attacchi contro la Rai non sono iniziati nel 2017, come in Austria, ma molto prima. Più di una generazione fa. Anche da parte di chi, come il Pd, avrebbe dovuto fare di tutto per conservare il gioiellino. Ci ricordiamo dei ricorrenti progetti di privatizzarla, anche magari solo in parte. Anche Beppe Grillo, con il pretesto di continuare nella polemica contro i giornalisti, si è lanciato lungo un versante simile, mentre i suoi occupano il  possibile nella Rai. Tutto nel nome di chi vorrebbe passare la sua vita stravaccato su un divano, e non esattamente a pensare. Possibilmente stando a Ibiza.

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