Cosi, la crisi di governo sembra evitata. Come già accaduto lo scorso anno, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, posti alle strette con cose che non sono in grado di dominare, da soli o messi assieme, sono condannati a stringersi attorno all’ esecutivo di Giuseppe Conte.

Aperte tutte le ipotesi, però, visto che ciascuno dei due è determinato a fare pagare all’altro il costo delle inevitabili scadenze in arrivo.

Sotto questa Spada di Damocle sin dagli esordi, il Governo gialloverde deve misurarsi con i mercati finanziari e il rispetto dei parametri dell’ Unione europea. Ovviamente, tutti vorremmo evitarlo, ma è così.

I risultati delle europee rafforzano il processo unitario dei 27, o dei 28, a seconda di come andrà a finire l’odissea della Brexit. Oggi si può dire che il fronte sovranista vagheggiato da Salvini si è già liquefatto. Lo dimostrano le ultime posizioni assunte dall’ungherese Orban, la decisione di tanti sostenitori del gruppo di Visigrad di non formare un gruppo parlamentare con la Lega, la crisi austriaca, i non influenti successi registrati in Francia, Regno Unito e Olanda dai partiti oltranzisti.

La strada di Matteo Salvini si è fatta più stretta ed accidentata. Accade quasi sempre così quando sembra che vinci, ma non hai i voti per fare tutto da solo.

Ci saranno sicuramente dei colpi di coda, soprattutto quando si andrà al dunque delle spartizioni dei commissari e delle cariche del Parlamento europeo, ma la sostanza è che i sovranisti sono già ininfluenti e sostanzialmente isolati. Su Politica Insieme l’hanno già egregiamente ricordato Vera Negri Zamagni ( CLICCA QUI ) e Giuseppe Sacco ( CLICCA QUI ). E chissà che in sede europea anche i grillini italiani, ora c’hanno preso il gusto a non restare emarginati, non finiscano per sorreggere una maggioranza europea diversa da quella vagheggiata in precedenza.

Nel nostro Paese emerge chiara una convergenza su posizioni non omogenee con quella espressa dalla semplice somma algebrica dei consensi ottenuti da populismi e sovranismi di varia natura e caratura. Una convergenza evidente soprattutto a livello dei gangli decisionali ed imprenditoriali. Emblematiche le recenti prese di posizioni della Confindustria e dei Giovani di Confindustria.

Come rivelano gli interventi dei e sui grandi giornali, siamo di fronte ad una maggioranza, quella del Paese reale, poco intenzionata ad andare allo scontro con mercati e vertici europei. Di particolare importanza le prese di posizione di gran parte dei rappresentanti dell’economia e della produzione del Nord.

Ben altro è richiesto al Governo dopo la continua campagna elettorale in cui siamo finiti da oltre un anno.

Giuseppe Conte e Giovanni Trina non solo ne sono consapevoli, ma sembrano ricercare con ostentazione e fermezza il dialogo e la collaborazione, piuttosto che inseguire altri che annunciano di voler “ vedere chi ha la testa più dura”.

Il recentissimo fondo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di qualche giorno fa è rivelatore di come il pendolo potrebbe invertire il senso di marcia o, almeno, di come ci sia chi si interroga se non sia il caso di farglielo fare.

Ci sono quelli che lavorano all’idea di costruire altre proposte politiche, anche dando vita a presenze e a raggruppamenti nuovi. Quelli capaci di richiamare l’attenzione su proposte ragionevoli e perseguibili, sulla necessità dell’impegno da parte di gente diversa, sul far emergere energie finora inespresse.

Queste  considerazioni stanno crescendo anche perché chi agita le posizioni più oltranziste e irresponsabili, come potrebbe rivelarsi quella di far cadere il governo Conte, rischierebbe al dunque di non raccogliere quello che oggi favoleggia. Molti entrano in Conclave come Papa e ne riescono da cardinale.

L’Italia non ha mai premiato chi l’ha portata immotivatamente alle elezioni anticipate. Al punto cruciale di non ritorno nel possibile scontro con l’Europa, l’Italia non sceglierà la strada dell’avventura.

Salvini è costretto a mantenere attaccata la spina del governo perché tutto questo lo sa bene, così come conosce le preoccupazioni degli ambienti economici del Nord. Sul piano politico parlamentare, dove al momento ha poco più del 15 % dei voti, non ci sono le condizioni sulla destra per farlo sentire sicuro del fatto suo. Ha minacciato a lungo la rottura con l’Europa e, adesso, lasciando che vadano avanti Giuseppe Conte e Giovanni Tria, preferisce rinculare. E’ evidente che il far cadere Conte lo espone al rischio di restare fuori da qualunque esecutivo e di non gestire lui le possibili elezioni.

Intanto, fa vedere che tiene il punto: si attacca all’idea dei minibot. Precisando però che non deve essere vista come l’anticamera di una Italexit, mentre Giancarlo Giorgetti chiosa che si tratta solo di una delle soluzioni. Mario Draghi e gli industriali italiani, però, corrono a gettare molta acqua gelata su questi ardori.

Resta il riferimento di Salvini ai 5000 miliardi di depositi degli italiani. Egli è proprio sicuro che tutti gli italiani, da lui sollecitati, vorranno fare la loro parte, magari mettendondosi ad acquistare i titoli di Stato al posto degli stranieri. Accadrà?

Alessandro Di Severo

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