Il giovane promettente, giustamente animato da sana ambizione, aveva pensato a tutto: lascio Cagliari con qualche mese d’anticipo, me la gioco con questo centrodestra per la Regione, vinco e sono il nuovo volto della Sardegna. E poi chissà, a livello nazionale ci potrebbe scappare qualcosa.
Il meno giovane sperava: stringo i bulloni della macchina, la rimetto in moto come Peppone con il trattore comunista, ingrano la marcia e quello riparte. Un po’ lento, ma affidabile.
Peccato che la terza tornata di elezioni in Sardegna in appena quattro mesi abbia visto la fine di due sogni: quello di Massimo Zedda (ribadiamolo: sogno legittimo, tanto più che il ragazzo non è uno sciocco) e quello di Nicola Zingaretti. Ed in quest’ultimo caso la faccenda si fa seria, essendovi implicato il destino stesso di tutto il Partito Democratico. Cagliari è andata perduta, Alghero e Sassari lo si saprà tra un paio di settimane.
Soprattutto è già svaporato quell’elemento di novità che aveva fatto sussurrare a qualcuno – che evidentemente non attendeva altro per sussurrarlo – un entusiasta e malinconico “ho ritrovato casa mia”. La tenda è stata di nuovo piantata nel campo democratico, ma al mattino ci si è accorti che è pieno di pietre, sterpi e insetti molto ma molto fastidiosi.
Il partito che tentava di rimettere tutti insieme, da Prodi a Bersani, da Letta a D’Alema, aveva fatto i conti senza Renzi. Ed è subito ripiombato nella solita, vecchia guerra tra bande. Chi vuole restare accampato in un campo di battaglia, faccia pure. Ma non chieda agli altri di seguirlo.

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