Secondo alcuni sondaggi, Matteo Salvini  veleggia verso il 40%. Tutto grazie al ripetersi di interventi di salvataggio in mare di poche decine di persone e delle successive estenuanti polemiche sul ruolo delle ong, oramai chiaramente presenti nelle acque del Mediterraneo all’insegna di una grande sincronia con le dinamiche politiche italiane.

C’è da pensare che qualcuno preferisca la vittoria di Salvini in modo da conclamare l’emarginazione definitiva del nostro Paese dai processi decisionali europei. Fantapolitica? Forse. In ogni caso, c’è da chiedersi: ma agli italiani converrebbe tutto ciò?

In realtà, nella sceneggiatura in fase di elaborazione le scene madri sono altre. Si tratta degli equilibri reali nel Parlamento nazionale, dove la Lega ha molto meno della metà di quanto gli attribuiscono i sondaggi. Non è questo elemento insignificante per gli esiti di una eventuale crisi di governo.

Vi sono, poi, i problemi dei conti, cioè della prossima finanziaria, e del rapporto complessivo con l’Europa.

Già è possibile farsi un’idea su questa ultima questione. Salvini appare completamente isolato sul piano europeo. La cosa va oltre la questione degli immigrati. Riguarda i più generali rapporti di forza,  politici ed istituzionali, emersi dopo le recenti elezioni del 26 maggio.

Come in tanti pensavamo già in precedenza, nonostante tanti errori dei vertici politici e degli euroburocrati di Bruxelles, la maggioranza degli elettori europei crede ancora nell’Europa.

Di conseguenza, le forze uscite vincitrici dalle urne si organizzano, in Italia e negli altri paesi, e il vero confronto con quelle cosiddette “ sovraniste” comincia solo adesso.

Il fronte internazionale vagheggiato da Salvini, e sul quale egli tanto ha scommesso, anche personalmente, è abortito sul nascere e, probabilmente, altre delusioni seguiranno.

Intanto, un primo assaggio: alla vittoriosa Lega in Italia, sempre considerando che si è astenuto dal voto quasi  il 50% degli aventi diritto, non è stato riconosciuto neppure uno dei 14 posti di vicepresidenza del Parlamento di Strasburgo. A differenza di quanto è accaduto ai Cinque Stelle, che l’hanno ottenuto grazie anche al sostegno del Pd.

Molti restano i dubbi sulla possibilità che ungheresi, polacchi ed altri dell’est europeo si  mettano in rotta di collisione con i principali altri paesi tra i 27, da cui attendono sostegno e finanziamenti. Più probabile che finiranno per abbandonare al proprio destino Salvini ed il governo italiano e pensare ad accordarsi con la maggioranza emersa dopo il 26 maggio. Non sarà la questione dei flussi migratori a pesare in maniera preminente.

Cosi, l’Italia e’ isolata. Germania e Francia hanno già imposto le loro linee. Grave la responsabilità che questo comporta e, sicuramente, al momento del dunque qualcuno sarà chiamato a renderne conto.

Salvini ha sottovalutato l’evoluzione della vicenda Brexit. Invece di confermarsi innesco della spaccatura dell’Europa, essa si è rivelata punto d’avvio di più complesse riflessioni tra i britannici e tra gli europei.

Sconquassare l’assetto politico ed istituzionale continentale non è facile per un insieme di motivi giuridici e di funzionalità istituzionale ed economica evolute nel corso del lungo processo di integrazione. In molti, a partire dalla maggioranza dei britannici andati al voto europeo, ritengono più conveniente, nonostante tutto, affidarsi all’Europa piuttosto che alle tante spinte isolazioniste nazionali.

Nonostante i problemi permangano, e forti emergano le responsabilità dei singoli governi e della struttura super nazionale di Bruxelles, il fronte interno antieuropeo raggiunge a mala pena il 30 % dei consensi.

L’abbiamo già detto: l’evoluzione delle cose sembra consegnarci un’Italia sostanzialmente emarginata da tutti i processi decisionali che contano e il grosso rischio è quello dell’aggravarsi di un isolamento dannoso per l’economia e le relazioni del Paese in generale e per quelle del nord Italia, in particolare.

In questo  contesto, le “ pretese” da parte della Lega di avere un commissario “ pesante” a Bruxelles sembrano avere un che di puerile e di irrealistico. A meno che non cambino anche gli atteggiamenti di Matteo Salvini e del suo partito, con un sostanziale riassetto del rapporto da tenere nei confronti delle istituzioni e dei partner degli altri paesi che “ contano”.

A Matteo Salvini restano alcune carte in mano di cui, però, deve ancora essere valutata la consistenza strategica e la durata nel tempo.

Esse sono, oltre la gestione di potere che consente di incidere su importanti e determinanti nomine pubbliche: l’indubbia capacità nello sfruttare la presenza mediatica, soprattutto in tema immigrazione; le relazioni internazionali strette con personaggi alla Bannon e con Putin; la possibilità di fare una piroetta e tornare a schierarsi con il centrodestra.

La questione dell’immigrazione svela nel frattempo l’altra faccia della medaglia. Intanto, la corta visione di Salvini, e di chi per questo gli assicura  tanto consenso, su un fenomeno da affrontare, ce lo ricorda molto bene Domenico Galbiati ( CLICCA QUI ),  tenendo conto non solo della fase della cosiddetta accoglienza, ma pure quelle della successiva integrazione e delle politiche che, in tal senso, un’intera Europa dovrebbe sviluppare.

Si riuscirà un giorno ad inquadrare la questione riconoscendole una ineluttabilità e una portata storica, culturale, economica ed antropologica non riducibile alla sola ricerca di illusorie soluzioni basate sul mero respingimento? E’ necessario, infatti, avviare complessi processi diplomatici, una intelligente collaborazione internazionale, la ripresa, persino a noi utile, di quella politica della cooperazione, nazionale e multilaterale, invece abbandonata negli ultimi decenni, proprio quando la questione assumeva dimensioni epocali e ci trovava, così, clamorosamente impreparati.

Non basta proclamare unilateralmente la chiusura dei propri porti se manca un lavoro diplomatico da svolgere con gli altri partner europei, con i paesi rivieraschi del Mediterraneo e di una buona parte dell’Africa.

Va da sé il ricordare che non abbiamo avuto finora alcun ministro dedicato specificamente alla questione. Savona non ha lasciato tracce al riguardo e, finora, non è stato neppure adeguatamente sostituito.

Al tempo stesso non risulta presentata ufficialmente alcuna proposta italiana sulla revisione degli accordi di Dublino, sulla definizione di comuni frontiere dell’Unione e di nuove regole condivise in materia di immigrazione. Sbraitiamo, ma siamo sostanzialmente inoperosi ed inefficaci, a conferma della mancanza di una politica adeguata al riguardo.

E’ forse venuto il momento di capire che più errori furono commessi agli inizi. Allorquando si accettò con poca lungimiranza l’accordo di Dublino e si approvò la cosiddetta Bossi Fini. Quella legge stava e sta a confermare la mancanza di un’adeguata valutazione della nostra collocazione geografica, delle esigenze indotte dalla crisi demografica e dalle dinamiche del mondo lavoro e di una necessaria programmazione in grado di tenerne conto.

Emerge con chiarezza, altra cosa riguardante direttamente le responsabilità istituzionali di Matteo Salvini, come la politica dei rimpatri segni un autentico fallimento, mentre gli sbarchi continuano.

E’ anche evidente che l’apparente “ doppio gioco” sviluppato da Salvini nei rapporti intercorrenti con l’amministrazione di Donald Trump e quella moscovita di Vladimir Putin reggerà fino a quando le oggettive “ ambiguità” presenti nei rapporti tra i suoi due presidenti “ amici” lo potranno  continuare a tenere vivo.

Uno sciagurato, ulteriore aggravamento delle relazioni ufficiale tra Usa e Russia potrebbe venire a momenti dalla “ pratica” Iran.

Sul piano interno, un possibile ritorno alle logiche del centrodestra sono chiaramente dipendenti da una eventuale chiamata alle urne anticipata del Parlamento nazionale. Non si sa mai, ma ad oggi la questione appare di fatto chiusa perché non sembra che molti parlamentari siano interessati ad andarsene a casa e, poi, perché non sarà facile convincere il Presidente Mattarella a fare avviare il Paese lungo percorsi avventurosi e dagli esiti incerti.

In ogni  caso, Salvini potrebbe essere costretto a pagare un forte dazio agli altri due spezzoni del centrodestra rappresentati da Silvio Berlusconi e dai Fratelli d’Italia. Senza di essi non sarebbe in grado di raggiungere il 40% nonostante ciò che gli assegnano alcuni sondaggi. Nella realtà, questo dazio finirà per essere imposto già al momento della formazione delle eventuali liste unitarie da sottoporre al corpo elettorale.

Purtroppo, stampa e sondaggi di opinione non aiutano lui e non aiutano noi a capire come il capo leghista analizzi una situazione tanto complessa e quali possano essere i suoi intendimenti. Al momento sembra seguire solo il suo consolidato schema, mentre incassa isolamento e sconfitte in sede europea.

Prendiamo atto che a Bruxelles  è stato deciso di non chiudere per adesso la pratica italiana con l’avvio di una procedura d’infrazione. Una oggettiva boccata d’ossigeno per il Governo Conte, per i suoi due vice premier e per tutti gli italiani.

A noi costerà circa otto miliardi di euro con una vera e propria manovra correttiva di cui però si è preferito modificare  la denominazione ufficiale. In realtà, tutto fa ritenere che si tratta di questione solo rimandata e che, se come pare, in Europa si rafforzerà una solida maggioranza, Matteo Salvini potrebbe rimpiangere la stagione di Juncker e di Draghi. Noi, purtroppo, con lui.

Giancarlo Infante

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