Tutti oggi abbandonano Matteo Salvini: è il primo dei perdenti. I sondaggi hanno registrato subitanea disaffezione. La conferma di come gli italiani amino andare in “ soccorso del vincitore”. Lo spread, visto che oramai fa parte degli indici di rilevazione politica, oltre che economica, è finito ai minimi storici. La cosa autorizzerà Salvini a dirsi vittima dei “ poteri forti” mentre è più ovvio pensare che gli investitori internazionali puntino sulla stabilità politica.

Dopo il voto del 2014, con il trionfo di Matteo Renzi , dopo il l’apoteosi  quest’anno di Salvini, c’è da dire che porta proprio  “ sfiga” vincere con il 40% alle europee.

Salvini ha dimostrato una rara capacità nel riuscire a coalizzarsi tutti contro. Non ha seguito l’avvertimento del detto orientale: “ è quando vinci che devi indossare l’armatura”. Ha dimostrato anche di non mettere in pratica il detto in inglese “ Keep your friends close, but your enemies closer”, tieniti i tuoi amici vicino, ma più ancora i tuoi nemici.

In realtà, dopo le ultime vicende  esce con gravi perdite soprattutto un’ipotesi politica. Quella della rottura traumatica con Europa e Euro e, contemporaneamente, dell’eccessiva disinvoltura nell’instaurare troppo strette relazioni  con tradizionali avversari geopolitici degli Usa e dell’Europa.

Salvini non ha capito, come sembrerebbe invece confermare l’esito del recente G7, quanto sia cambiato il vento internazionale. In particolare, quello che soffia sul quadrante europeo. Bisognerebbe far risalire il suo disarcionamento alla creazione di una nuova maggioranza nel Parlamento di Strasburgo e della nascente Commissione di Bruxelles.  Le dinamiche internazionali  influiscono tanto su  quelle domestiche.

Lo scacco alla Lega  ha significato un generale arretramento della destra e del centro destra. Anche se Silvio Berlusconi si è abilmente ritagliato un proprio autonomo spazio di manovra. Lui e Salvini si dovranno riunire con i Fratelli d’Italia della Meloni per il secondo round: le elezioni regionali autunnali di Emilia e Romagna, Umbria e Calabria.

Pd e 5 Stelle  possono essere considerati , invece, mezzi vincitori o mezzo sconfitti, a seconda dei punti di vista.

Il Pd, nonostante un guizzo disperato, grazie al quale è riuscito a trovare un accordo in extremis con i 5 Stelle, resta un  campo d’Agramante,  sommatoria di correnti in discordia tra di loro. Zingaretti e Renzi  sono riusciti a realizzare una “ tregua”, ma restano pur sempre l’un contro l’altro armati.

Anche i 5 Stelle hanno raddrizzato le cose per il rotto della cuffia  e si sono liberati dell’abbraccio stritolatore in cui erano finiti avvinti da un alleato cresciuto a loro spese. Ora, hanno il tempo per tirare il fiato e riprendersi da un brusco calo di consensi.

A loro attivo, però,  c‘è un elemento di grande novità su cui non si è ancora riflettuto abbastanza: dalla destra e dalla sinistra è giunto un grande attestato, cioè quello di non essere più considerati delle schegge impazzite della società e della politica italiana. Sono stati “ sdoganati”. Considerati sempre molto spregiudicati, ma degni di costruirci un’alleanza politico parlamentare.

Ci sono solo due vincitori a punteggio pieno. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quello del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte.

Il primo perché ha gestito la crisi seguendo sempre la stella polare della garanzia costituzionale e per l’insistenza con cui ha ribadito la necessità di uscirne il più velocemente possibile visto che vicende interne e internazionali incalzavano. Nessuno ha potuto intravedere sue eventuali preferenze affinché lo sbocco portasse a una soluzione o all’altra. La possibilità di dare vita ad un Governo è stata tenuta aperta con pazienza, così come la disponibilità, per quanto sofferta, di sciogliere il Parlamento anticipatamente. Nessuno può lamentarsi e, infatti, nessuno l’ha fatto.

Giuseppe Conte, con il duro intervento anti Salvini del dibattito in Senato, ha preso in mano la situazione come nessuno avrebbe prima potuto immaginare. Molti hanno parlato di un azzardo e dato subito per finita la sua carriera politica. Ha tenuto fermo il punto nel denunciare l’inaffidabilità del capo della Lega. A partire da Beppe Grillo, il Movimento dei Cinque Stelle lo ha posto, di fatto, alla guida di un percorso diverso basato sulla rottura completa con il precedente alleato. Alla fine, anche Luigi Di Maio ha dovuto farsene una ragione e accettare di vedere fortemente ridimensionato il proprio ruolo. Sembrano già vicende di tanto tempo fa.

La scelta dei ministri, però, porta a ritenere che siano stati usati raffinati equilibrismi per accontentare le correnti interne ai 5 Stelle e al Pd. La compagine governativa, alla fine, sembra più una sommatoria di posizioni che un’amalgama ben congegnata.

Il livello delle competenze professionali è già stato molto criticato da varie parti. E’ il prezzo del cosidetto Governo ” politico”, rispetto a quello di natura tecnica. Non è che nel passato i governi cosiddetti ” tecnici” abbiano dato grandi risultati. Ridotti come siamo, dobbiamo sempre affidarci al cosiddetto ” stellone” in cui noi italiani riponiamo sempre la fiducia in extremis.

Alcune nomine sono comunque controverse e costringono alla sospensione del giudizio. Prendiamo atto che l’unica vera novità è quella della chiamata di un “ tecnico”, la prefetta Lamorgese, all’Interno. Evidentemente, sia Mattarella, sia Conte non vogliono più lasciare un ministero del genere, tanto importante perché di “ garanzia”, a qualcuno che si possa mettere a fare la “ scheggia impazzita”.

Giancarlo Infante

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