Il Popolo Italiano ha stupito il mondo intero ricostruendo con una velocità incredibile un Paese devastato dalla guerra. I successivi governi di centro sinistra avevano poi tentato inutilmente di dare strutture più moderne alla Repubblica Italiana.  Moro e Berlinguer progettarono di riformare il sistema Paese con una maggioranza la più ampia possibile. L’assassinio di Aldo Moro chiuse definitivamente l’idea dell’ammodernamento delle strutture Statali.

In un mondo fatto di conservazione, di privilegi e di rapporti amicali, hanno poi finito col prevalere, e ancor più con l’avvento sistematico della comunicazione, i demagoghi della politica. Ossia coloro che, con l’abile rappresentazione della verosimiglianza, dipingono un quadro virtuale intrigante con proposte  inadeguate alle necessità del Paese reale.

Da allora in poi l’immobilismo riformatore è stato il denominatore comune dei vari governi che si sono succeduti, con poche e brevi eccezioni, Le cifre ora sono brutali, ma dicono tutto: il debito pubblico era alla fine del 1977 il 56 % del PIL, oggi si approssima al 135%.

Il 4 marzo 2018 è sembrato segnare la fine di un’epoca. I due vincitori sono stati il sovranista Salvini e il penta stellato Di Maio. Si è respirata un’aria apparentemente nuova. Ma i due vincitori hanno perpetuato l’irresponsabilità di chi li ha preceduti reiterando e perfino ampliando le metodiche demagogiche dei precedenti governi.

E’ ora in atto una sperimentazione di governo costituito tra due forze non certamente omogenee ma non del tutto antagoniste. L’escluso, “ciascuno di suo mal pianga se stesso”, evoca  elezioni anticipate e referendum, è questo solo un plateale segnale d’impotenza.

Probabilmente per sviare il problema della mancanza di risorse, nella mente di alcuni di coloro che hanno formato il nuovo governo è rifiorita l’idea di diminuire il numero dei parlamentari, idea ovvia, sensata in sé, ma pur essendo necessaria è minima negli  effetti finanziari e interpreta con eccessiva leggerezza i modi e i tempi delle modifiche Costituzionali.

E’ bene ricordare che i due tentativi di segno diverso di modificare la Costituzione, una da destra e una da sinistra, sono miseramente falliti e brutalmente respinti dall’elettorato.

La stessa metodologia di parte era stata utilizzata con la modifica parziale del solo Titolo Quinto, sulle regioni e sulle autonomie locali, promossa dall’alleanza di centro sinistra e compiuta nel 2001. Quella volta l’esito fu positivo ma è ben difficile affermare che fu una buona riforma.

Solo nell’assemblea Costituente vi fu un afflato culturale tra le varie forze in parlamento per dare al Paese la migliore riforma Costituzionale possibile. Certamente aveva aiutato il fatto che tutte queste forze si erano ritrovate fianco a fianco per combattere il nemico comune.

E’ necessario sottolineare che le regole complessive che determinano il divenire della politica hanno la necessità di trovare un minimo comun denominatore, non contro qualcuno, ma per governare al meglio il Popolo Italiano.

Per superare questa drammatica impasse occorre che tutti e quanti si mettano intorno ad un tavolo e trovino quelle risorse che, in questi quarant’anni e più di sperperi, sono state dilapidate.

Finora, quando le inadeguate politiche dei Governi hanno destabilizzato il sistema i Presidenti della Repubblica hanno chiamato, in tre diverse situazioni, alla Presidenza del Consiglio uomini di collaudata esperienza con l’impegno di fare cassa: il secondo governo Amato, il governo Dini e infine il governo Monti.

Tutti e tre hanno recuperato risorse economiche  dove era più semplice reperirle. L’urgenza e la gravità delle situazioni impediva di attuare provvedimenti di lungo respiro più articolati e più equi per tutti i cittadini.

I governi tecnici, sono stati un’anomalia istituzionale, in quanto individuati dal Presidente della Repubblica del momento. Vogliamo sottolineare che questa modalità ha deresponsabilizzato i veri attori del dissesto: . ”Passata la festa gabbato lo santo”, passato un tempo più o meno lungo si è tornati daccapo.

Sottolineiamo Che il governo tecnico fa cassa (anche con qualche strascico) ma i problemi di un sistema che funziona male rimangono e dopo qualche tempo ci si ritrova al punto di partenza,

Ora questo drammatico impasse si ripresenta nell’attuale Governo: molti dei Ministri del Governo appena formato, hanno esplicitato analisi e interventi interessanti che riguardano i loro dicasteri, ma le risorse mancano e così sarà, in un prossimo futuro, per ogni governo e di qualsiasi colore, di destra di centro o di sinistra. I soldi mancano e non si può più imporre tasse solo a quelli che già le pagano. Far rientrare l’evasione fiscale entro limiti tollerabili è corretto ma richiede tempo. Ricorrere ad una patrimoniale sulla Casa, dove gli Italiani hanno investito a proposito e a sproposito, se non si attua prima la riforma del catasto, sarebbe essa stessa iniqua.

Occorre che tutti e quanti i leader dei partiti politici si mettano intorno ad un tavolo e trovino rimedio per quelle risorse che, in questi quarant’anni, hanno dilapidato.

Vi è ancora un nemico comune, che dovrebbe coalizzare questi rappresentanti del Popolo, anche se tutti lo hanno ignorato o hanno finto di ignorarlo, sia pure con qualche rarissima eccezione.

Questo nemico è il debito pubblico. In un Paese che non cresce, un debito che supera i 2.400.000.000 di euro (quasi il 135% del PIL), non solo produce uno scarso reddito, ma impedisce  cospicui investimenti per l’assorbimento di risorse che gli  interessi passivi producono.

Dunque occorrerebbe aprire un processo a tutta una classe politica che ha divorato le risorse degli italiani in poco più di un quarantennio. Capire le ragioni per cui questi rappresentanti del popolo hanno fallito in toto i loro compiti sarebbe utile.

Per un motivo molto semplice, hanno preposto i loro interessi elettorali (rielezione) agli interessi del Paese (e nonostante ciò in qualche caso non sono stati rieletti).

La prima questione è la stratificazione di leggi che per i vari enti, che governano la Repubblica, effettuata senza tener conto della differenziazione delle varie competenze. Ad esempio quando si sono istituite le regioni a statuto ordinario non si è tenuto conto delle competenze delle province e quando si sono ampliate le competenze delle regioni è successa la stessa cosa. Quando si è istituito il parlamento europeo, si è ignorato che i parlamentari italiani erano di gran lunga i più numerosi di quelli degli altri stati. Si sono poi istituiti i vitalizi, prima per i parlamentari, poi per i consiglieri regionali in netto contrasto con la regolamentazione per gli altri lavoratori.  Se poi andiamo sul piccolo, i comuni, piccolo è bello, così hanno sostenuto molti parlamentari e molti media. Fatta la legge 142 nel 1990 che ha attribuito specifiche funzioni ai comuni, si è scoperto che qualche migliaio di questi enti non potevano espletare tutte le funzioni loro attribuite. Non si e fatto nulla se non indicare una via del tutto volontaria per eventuali accorpamenti tra questi enti.

Mai azzerare un ente, anche se è inutile o quasi, in Italia non si riesce a fare. Oggi abbiamo comuni che non raggiungono i cinquanta abitanti! Prima occorre sistemare la giungla delle istituzioni poi può arrivare Cottarelli, altrimenti è pura retorica!

Perché è necessario, mettere attorno ad un tavolo tutti i partiti, nessuno escluso, per riformare la struttura Repubblicana: Ad esempio, riconsidero il Molise nato nano, ma con costi pro capite elevati. Se io leader di un partito voto contro il suo accorpamento con gli Abruzzi, poi alle elezioni otterrò più voti di tutti gli altri che sono stati contrari. Perché inimicarmi i Molisani?

Ma se sono un parlamentare coerente e i miei predecessori hanno scialato il denaro pubblico, ho il dovere di rimediare. Altrimenti ogni volta, se le cose stanno così, quando si forma un governo poi si studia quali panacee raccontare, quali barriere immettere nelle leggi approvate per spendere il meno possibile, poiché si può fare poco o nulla, si veda il Governo appena concluso.

Il Paese langue, “chi ha dato, ha dato, chi ha avuto, ha avuto, scurdammece o’ passato”. E i nostri figli?    .   .

Come e dove recuperare risorse, senza ulteriori balzelli.

I Comuni sono la struttura di base per amministrare capillarmente la Repubblica Italiana. Oggi i Comuni sono 7954 (fonte ANCI). In Giappone, con più di 127 milioni di abitanti, sono circa 1.700, mentre nel secondo dopoguerra erano circa 12.000. I piccoli Comuni (quelli con meno di 5.000 abitanti) sono quasi il 70%, per l’esattezza 5543 (fonte ANCI)  (il più piccolo Moncenisio ha 29 abitanti!).

Questi enti, quando sono piccoli,  non sono in grado di espletare molte delle funzioni loro attribuite. Inoltre in questi casi è documentato uno scambio continuo tra edilizia e consenso elettorale. Si sono creati poi dei piccoli mostri finanziari, dove gli appalti sono quasi sempre a trattativa privata.

Per assolvere alle funzioni loro attribuite, in piena autonomia, occorre che un Comune abbia un adeguato numero di abitanti, si può ragionevolmente indicare in 2.500/3.000 la popolazione minima necessaria, il che comporterebbe una riduzione tra il  20% e il 25% di questi enti con una contrazione della spesa corrente, che, che una volta a regime, sarà notevole.

Molti politici pensano che l’abolizione delle province comportebbe un notevole risparmio di spesa. Abolendole, le loro competenze passeranno alle Regioni ma con esse, anche il loro personale :che implicherà una ovvia parità di trattamento con quello regionale:: si avrebbe un incremento degli stipendi degli ex dipendenti provinciali con un ovvio aumento, e non diminuzione, dei costi di gestione.

E’ ben più razionale incrementare le funzioni di questi enti per ottenere una maggior efficacia amministrative e precisamente.

  • La responsabilità gestionale dei beni demaniali e dei beni pubblici.
  • I censimento e la riorganizzazione gestionale dei beni di interesse culturale, mobili e immobili, in stretta collaborazione con le Intendenze competenti.
  • Lo sviluppo e la programmazione del territorio.
  • L’implementazione e la programmazione delle strutture turistiche.
  • La ricerca e la programmazione  della produzione agricola.
  • La programmazione della grande e media distribuzione commerciale.
  • L’attuazione e controllo dei servizi sanitari (ASL.)

Il tutto determinerebbe una separazione più netta dei compiti, dando alle Autonomie Locali maggior potere amministrativo e riconducendo le Regioni ad un maggiore potere legislativo (diminuendo così le possibilità di corruzione di queste ultime che in questi anni hanno caratterizzato il loro divenire.

E’ poi opportuno attuare il funzionamento delle città metropolitane, applicandole a territori vasti e popolosi che siano capoluoghi di regione e che abbiano almeno 1.000.000 di abitanti

Sono enti che languono dal 2001 in attesa di una compiuta realizzazione. Eppure il loro funzionamento è necessario a condizione che il Comune capoluogo cessi e venga suddiviso in municipalità, o distretti amministrativi.

La Regione è un ente che delibera leggi e regolamenti sulle materie di sua competenza, il che richiede una capacità legislativa su un territorio adeguato e una regolamentazione più esplicita delle sue competenze rispetto sia allo Stato (titolo quinto della Costituzione) che alle autonomie locali. Per attuare compiutamente quanto proposto occorre che la loro dimensione demografica non sia al disotto di 1.500.000 di abitanti. In conseguenza sarà opportuno che ciascuna delle seguenti coppie di regioni confluiscano in un unico ente: Umbria e Marche, Abruzzi e Molise, Basilicata e Calabria. Ci si è limitati alle regioni che hanno due province accorpandole con altre sempre poco popolose per evitare che l’associazione diventi un assorbimento. Resta aperto il problema delle regioni a statuto speciale, che comunque deve essere affrontato.

Concludiamo queste succinte note (estratte da un testo più ampio in corso di elaborazione), con una osservazione sul numero dei parlamentare: è opportuno che il numero complessivo dei parlamentari italiani sia al massimo analogo a quello del parlamento Tedesco, (la Germania ha una popolazione ben superiore alla nostra, ma un numero di parlamentari nettamente inferiore). Per i parlamentari questo è un obbligo verso i loro cittadini.

La riduzione dei parlamentari può implicare una diversa legge elettorale. Quella in essere ha molti punti deboli, e questa supposta commissione parlamentare potrebbe su questo tema potrarre la soluzione all’infinito a meno di ritornare al Mattarellum. Ma nell’attualità ritengo che il debito pubblico sia il più grave problema da affrontare.

Post scriptum

Questo ragionamento può sembrare, e anche essere pedestre, ma tiene conto delle seguenti osservazioni:

  1. Il debito pubblico è continuato e continua a crescere a ritmi vertiginosi, negli ultimi quarant’anni.
  2. Sono stati toccati pesantemente diritti pregressi dei cittadini, ma solo di alcune categorie. E non quelli del sistema politico, se non in misura molto blanda.
  3. Gli intervento proposti, pur essendo intellettualmente banali, consentirebbero una netta inversione di tendenza politico amministrativa, mettendo a disposizione, una volta a regime, cospicue risorse per le varie emergenze del Popolo Italiano.
  4. Gli interventi proposti, pur modificando la Costituzione, si possono attuare in tempi relativamente brevi solo se tutto il mondo politico, in unità di intenti, riuscirà ad assumersi la responsabilità di far uscire la Repubblica da una pesante crisi che oggi non può garantire un futuro decente a tanti dei sui figli.
  5. Si verrebbe a costituire una sorta di commissione Costituzionale in cui i partiti si assumeranno la responsabilità di ridurre i costi fissi del loro divenire avviando il risanamento finanziario del Paese. Intanto il Governo in carica cercherà di intervenire dove consentiranno le risorse disponibili. Raggiunti compiutamente questi obiettivi sarà opportuno andare a nuove elezioni e il Popolo Italiano darà mandato a chi riterrà più opportuno.

Arturo Bodini

Immagione utilizzata: Shutterstock

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