L’amico Giorgio Merlo intervenendo su Il Domani d’Italia ( CLICCA QUI ) ha fatto  intravedere l’attesa che possa essere il Pd a riconoscere “apertamente e non solo formalmente la presenza al suo interno di un’area politica e culturale cattolico popolare e democratica” o Matteo Renzi a rendersi conto dell’esistenza di “ un giacimento di valori, di interessi sociali, di riserve etiche e di elaborazioni programmatiche”.

Viene immediato il chiedersi cosa possa portarci a ritenere che il Pd e/ o Renzi siano, oggi, in grado di riconoscere quello che è stato sotto i loro occhi per circa 25 anni. Cioè una presenza di popolari e cattolici democratici le cui istanze sono state in buona parte trascurate dal principale partito del centro sinistra. Anche nel periodo in cui Renzi ne è stato Segretario.

Il caso recente della formazione della lista in Umbria è stato emblematico. Il Pd ha preferito dire di no alla candidatura alla Presidenza della regione dell’amica Stefania Proietti che non solo è profondamente radicata con coerenza nel nostro  mondo, ma rappresenta anche una possibile alternativa civica al verticismo di un certo modo di fare politica.

Merlo sostiene pure “ che è perfettamente inutile continuare a blaterare ( … ) sulla possibilità/ necessità di dar vita ad una nuova Democrazia Cristiana”.

Concordo. Si tratta, infatti, di un’esperienza storica finita nel millennio scorso e resa difficilmente proponibile a seguito delle vicende in cui sono stati, e sono ancora coinvolti, soprattutto nelle aule di tribunale, i suoi epigoni.

Abbiamo persino scoperto che, legalmente parlando, nessuno degli utilizzatori della dicitura Democrazia Cristiana e dello Scudo crociato ne è il legittimo continuatore.

L’unica cosa buona che potrebbero fare è andare tutti assieme all’Istituto Sturzo per depositare solennemente nome e simbolo, rendendo loro il rispetto storico ed ideale che meritano.

Ora giunge la proposta di provare a  limitarsi, invece, alla creazione di una Federazione per organizzare la solita “ cosa di centro”.

Il limite più grosso di questa proposta è che si basa su un “ vogliamoci bene” in cui latita ogni proposta diretta ad una autentica rigenerazione del movimento politico dei cattolici in modo da sintonizzarlo con il Paese e le sue richieste, tra cui spicca in maniera inequivocabile quella di facce nuove. Purtroppo, è vero il detto: non c’è più sordo di chi non vuol sentire.

Giorgio Merlo  aggiunge anche quanto ritenga “ sterile continuare ad immaginare soggetti politici di ispirazione cristiana che puntualmente in tutte elezioni – locali, provinciali, regionali, nazionali ed europee – stentano ad arrivare alla fatidica soglia dello 0,5%”.

E’ da condivide anche questo esame retrospettivo di tutti i fallimentari tentativi in cui si sono cimentati alcuni amici animati più dalla generosità che da un esame realistico delle loro possibilità e, soprattutto, dell’essere in grado di capire il contesto socio politico del Paese in cui quei tentativi si sono astrattamente sviluppati.

Il combinato disposto del ragionamento di Giorgio Merlo e dell’idea della Federazione dei sempre più marginali democristiani porta ad una constatazione e ad alcune riflessioni.

La constatazione è che appare confermata, comunque, l’esistenza del problema del riconoscimento di una identità e del valore di una presenza pubblica che riguarda quanti di noi sono interessati alla politica sulla base di una ben precisa ispirazione e perché legati ad una consolidata tradizione di pensiero.

Ora, e questo riguarda sia la valutazione di Merlo, sia quella dei “ federatori” dc, si tratta di provare a fare questi ragionamenti non in astratto, bensì in relazione alle dinamiche reali che attraversano la società italiana per ciò che richiama gli aspetti sociali e per quelli di pensiero e di riferimento ideale che giustificano una partecipazione attiva alla politica.

Cosa voglio dire? Che siamo arrivati al punto in cui questa nostra Italia deve inevitabilmente porsi il problema di una rifondazione. Noi sosteniamo da tempo che è necessario cominciare a prospettare una sua radicale trasformazione.

Il nostro impegno politico è da questo sollecitato e non può essere vissuto e declinato solo come pulsione elettoralistica. Bensì come assunzione di una responsabilità verso un “pensiero forte” capace di richiamare nuove energie e segnare un fatto nuovo.

Il “ pensiero forte” deve inevitabilmente tradursi in una progettualità concreta. In grado di prospettare un futuro a donne, uomini, a giovani e ad anziani, al mondo del lavoro, alle imprese.

Si resta altrimenti nel campo di quella politica che è raccontata, e persino svilita e svillaneggiata, in televisione. Non certo in un ambito creativo e fecondo diretto al governo delle cose da cui dipendono l’oggi e il domani delle famiglie, degli insegnanti, degli studenti, degli artigiani, degli scienziati, dei dipendenti pubblici e così via dicendo.

I cattolici popolari e democratici sono chiamati all’impegno e alla partecipazione nella consapevolezza che assieme, credenti e non credenti, possono riprendere le redini di un Paese che appare oggi senza prospettive.

L’iniziativa avviata da numerosi gruppi che, rifacendosi alla Dottrina sociale della Chiesa e alla Costituzione, si chiamino essi “ liberi e forti”, o popolari, o cristiano democratici poco importa, hanno finalmente deciso di mettersi insieme segna un punto di svolta. Solo che lo fanno sulla base di libertà e di autonomia, dopo 25 anni di divisione e di subalternità.

La loro intenzione, così, non è certo quella di riproporre superate esperienze oggi non più realisticamente possibili. Neppure ripartire con facce usurate da una troppo lunga frequentazione della vecchia politica. Neppure sulla base di un generico e non precisato volersi mettere insieme a tutti i costi avendo ben presente che i cattolici non rappresentano un’entità politica omogenea e che nessuno intende dare vita a un partito clericale o integralista.

Noi, invece, fortemente ispirati ai valori e alla tradizione politica del popolarismo e del cattolicesimo democratico, intendiamo operare laicamente, con altri laici collegati ad altre tradizioni di pensiero democratico e solidale, certi che il riferimento al popolarismo o al cristianesimo democratico non si declama, ma si mette in pratica cercando la massima della coerenza tra idealità e operosità diretta al soddisfacimento degli interessi della gente, fatta di cattolici e di non cattolici .

Non ci interessa neppure limitarci a pensare solamente alle elezioni. La partecipazione a questo fondamentale appuntamento della democrazia resta una delle occasioni più importanti in cui può concretizzarsi quello che è il nostro vero obiettivo: imporre alla politica quelle trasformazioni necessarie perché scopra il suo primo e fondamentale dovere, quello di puntare al bene comune.

La partecipazione alle elezioni, in effetti, non costituisce l’unica risposta alla necessità di coinvolgersi in un impegno pubblico organizzato. In ogni caso, necessita di tante realistiche valutazioni sul tempo, sul luogo e, soprattutto, sulle capacità di aggregazione e di ricerca del consenso. Altrimenti, anche in questo caso si vanga a vuoto nel campo dell’astrattezza o ci si abbandona al velleitarismo o all’auto esaltazione della testimonianza che deve essere lasciata ad altri ambiti.

Oggi, in ogni caso, siamo nella fase in cui è necessario, e richiesto dal nostro mondo, dare vita a una presenza organizzata per riattivare un “ pensare politico”, per rivitalizzare e metter al centro di tutto la partecipazione del territorio, per cominciare ad inserirsi nella dialettica politico parlamentare perché abbiamo molto da dire e molto da fare.

Giancarlo Infante

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