Enrico Mattei soleva dire al prof. Giorgio La Pira: “Io sono il braccio e tu la mente; e progetteremo raffinerie a Casablanca, grossi interventi per l’Algeria, i fosfati per la Cina

Partiamo dall’enciclica “Mater et Magistra”(15 maggio, 1961) di Giovanni XXIII.

“Lo Stato, la cui ragion d’essere è l’attuazione del bene comune nell’ordine temporale, non può rimanere assente dal mondo economico; deve esser presente per promuovervi opportunamente la produzione di una sufficiente copia di beni materiali, “l’uso dei quali è necessario per l’esercizio della virtù” , e per tutelare i diritti di tutti i cittadini, soprattutto dei più deboli, quali sono gli operai, le donne, i fanciulli. È pure suo compito indeclinabile quello di contribuire attivamente al miglioramento delle condizioni di vita degli operai. . È inoltre dovere dello Stato procurare che i rapporti di lavoro siano regolati secondo giustizia ed equità, e che negli ambienti di lavoro non sia lesa, nel corpo

e nello spirito, la dignità della persona umana … in questo senso si impone la socializzazione cioè la elaborazione di grandi piani economici “.

Giorgio la Pira si fece banditore di questa nuova prospettiva storico-politica, proponendo al suo amico dei tempi della resistenza al fascismo Enrico Mattei, presidente dell’Eni, di intervenire economicamente a favore delle indipendenze che nascevano sull’altra riva del Mediterraneo.

«Se fossi un uomo d’affari, credimi, darei loro una mano oggi, così, quando domani saranno loro i padroni, mi faranno qualche sconto». E non è detto che il suggerimento, applicato allora, a suo tempo, non avrebbe risparmiato all’Europa mezzo secolo di guai.

In questo senso, seguendo la stessa visione del suo grande amico, ecco cosa dice Enrico Mattei.

“Noi abbiamo fatto nostro da tempo, signor sindaco (Giorgio La Pira), il pensiero che esprimeva il Santo Padre ( Pio XII) alla XXIX settimana sociale dei cattolici italiani.

Crediamo, cioè, con quell’angusta autorità, che senza il rispetto della legge morale non vi è sana economia, e che, invece, le esigenze etiche conducono  al superamento di quella economia capitalistica fondata su principi liberisti, la quale pone nel massimo profitto dell’imprenditore il fine pressoché esclusivo della produzione, il che è in netto contrasto con la dignità della persona.

Trova una profonda convinzione in noi l’affermazione del Santo Padre secondo la quale il raggiungimento di alte finalità sociali “non può venire affidato unicamente all’iniziativa privata e tanto meno, come vorrebbero molti, al libero gioco delle forze economiche”. Crediamo, infine, sempre secondo l’augusta parola, che gli sforzi per dar vita ad una economia a servizio dell’uomo verrebbero in gran parte frustati, se non si arrivasse a un’atmosfera di leale e fattiva collaborazione fra le classi sociali, specialmente nel mondo del lavoro.

Questi pensieri tratteggiano le linee programmatiche ideali dello Stato moderno, che sappia tenersi distante dalle alternative estreme del liberismo e della pianificazione integrale dell’attività economica, per contemperare, attraverso il principio della socialità, la prosperità dell’impresa e il benessere dei dipendenti. ..

Il salvataggio della Pignone poteva evitare pericolosi contagi nello slittamento di altre imprese … Fu merito suo, signor sindaco, l’esser riuscito, un anno più tardi, a dare una struttura solida ad un’altra azienda pericolante: la Fonderia delle Cure”.

La vicenda della fabbrica di Rifredi si concluse con l’assunzione  dello stabilimento da parte dell’ENI di Enrico Mattei e nacque così “Il Nuovo Pignone”: un’impresa che assumerà dimensioni internazionali. Fu un esempio di positiva gestione del sistema delle partecipazioni statali nell’economia mista italiana.

Tali scelte dimostrarono come l’azione del sindaco La Pira fosse stata una vera e propria eccezione in tutta la penisola: la disoccupazione sembrava inattaccabile da qualsiasi strumento di cura. Una rinascita ottenuta grazie anche allo spirito di solidarietà fra tutti i lavoratori “questi lavoratori – disse la Pira (nei giorni terribili della paura dei licenziamenti alla  fine del 1953)- sono come monaci aggrappati alle pietre del loro convento”.

L’impresa pubblica -affermava Enrico Mattei- è oggi (siamo negli anni ’60) in prima linea nella lotta per il progresso economico e sociale svolgendo i compiti di accelerare lo sviluppo dei settori e delle aree depresse e di eliminare gli ostacoli che si sono venuti creando con la concentrazione capitalistica

L’attività dell’Eni è un cospicuo esempio di realizzazione di questi principi.

Nelle economie moderne lo Stato non può disinteressarsi di ciò che accade nel mercato degli operatori privati, perché sa perfettamente che il risultato delle loro decisioni può non essere conforme agli interessi generali della società, che è suo compito tutelare. (discorso tenuto nell’università di Perugia in occasione del conferimento della laurea honoris causa)

La Pira non propose a Mattei -scrive Fioretta Mazzei – un atto di carità, bensì un piano industriale vero e proprio; nel contesto dell’affare Pignone, prospettò un affare utile per l’Italia : “fra poco i popoli mussulmani diventeranno tutti indipendenti e saranno i padroni dei loro giacimenti di petrolio, non è meglio che restino nostri amici?”.

Enrico Mattei si fidava pienamente di La Pira, gli telefonava anche di notte per fare nuovi piani.“Vieni con me a Roma in aereo, gli disse un giorno, almeno questa volta viaggio tranquillo, perché mi vogliono ammazzare”.Sia l’uno che l’altro ricevevano in quei giorni biglietti minatori firmati “OAS” con una testa di morto e ossa incrociate.

Per la Pira “Il mestiere dell’operaio è un’alta forma di proprietà e lo Stato deve garantirla non meno della proprietà economica”.

Pirografava nel cuore l’accorato appello di Gesù : “tutto quello che avete fatto ai minimi dei fratelli l’avete fatto a me”. Con la forza della sua logica radicale deduceva: “Quando sarò giudicato non potrò dire: Signore! Non sono intervenuto per non turbare il libero gioco della forza di cui consta il sistema economico: per non violare la norma ortodossa della circolazione monetaria, ho lasciato nella fame alcuni milioni di persone. Fra l’altro, se adducessi questa scuse, io imputerei al Redentore una cosa grave: cioè che Egli mi abbia imposto un fine da perseguire, sapendo che non avrei trovato i mezzi per perseguirlo”.

Nino Giordano ( Presidente dell’associazione “Movimento Giorgio La Pira per il Mediterraneo)

 

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