L’Economia Civile significa mettere al centro della vita gli esseri umani, le persone e la solidarietà. Si tratta di una visione più ricca e complessa delle relazioni economiche, civili ed istituzionali su cui deve essere posta una nuova attenzione anche da parte di chi contribuisce e concorre alla formazione delle nuove generazioni.

Sull’importanza di un approccio formativo che tenga conto dell’Economia Civile, lunedì 11 maggio si è tenuto a Taranto il seminario “L’insegnamento dell’Economia Civile nelle scuole superiori”, curato da Vera Negri Zamagni, professoressa presso la Scuola di Economia, Management e Statistica del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università degli Studi di Bologna.

Ultima Edizione ha intervistato la docente sui temi del seminario e, più in generale, sul nuovo paradigma di sviluppo sostenibile proposto dall’Economia Civile.

Quanto è importante l’economia civile nella formazione dei docenti nell’ottica di un nuovo insegnamento dell’economia?

«La risposta a questa domanda non è semplice, perché coinvolge due temi di fondo: cosa significa educazione oggi e quale economia vogliamo. Nelle nostre società “avanzate” si è diffusa una concezione dell’educazione come semplice fornitura di informazioni tecniche ai giovani, che così sarebbero messi nella condizione di scegliere autonomamente la loro posizione nella vita. Questa concezione non prende atto che la personalità di ciascuno si è sempre formata assorbendo valori e principi molto prima che informazioni e quando ciò non avviene abbiamo persone superficiali, volubili e contraddittorie. Non è detto che i valori assorbiti da giovani debbano rimanere per sempre, ma sarà solo dal confronto con altri valori che la scelta potrà essere fatta. Il paradigma dell’economia civile non condivide la concezione dell’educazione come mera istruzione e non contiene solo informazioni, ma principi e valori riferiti ad un’economia diversa da quella oggi predominante».

Che tipo di visione della storia e dell’evoluzione umana propone l’economia civile?

«Due sono le dimensioni di fondo dell’economia civile: persona e fraternità. Se si mette la persona al centro della società, allora economia, politica, diritto devono servire la persona e non viceversa. In questa prospettiva, l’uomo lavora per realizzare se stesso e non per arricchire altri; la legge serve per tutelare i diritti di ciascuno e non per opprimere qualche categoria di persone e farne prevalere altre; la politica è al servizio dei cittadini e non esercita il potere a vantaggio di pochi. Se si mette la persona al centro della società, allora si costruiranno anche istituzioni di fraternità, perché la persona è fragile e non può fare da sola, né nel suo percorso educativo, né nel suo percorso lavorativo e men che meno quando è malata o sofferente o anziana. Al di fuori di queste due dimensioni, l’economia diventa “disumana” e quindi “incivile”, perché non offre educazione a tutti, sfrutta vaste categorie di persone nel mondo del lavoro, provoca profonde ingiustizie nella distribuzione del reddito e della ricchezza, abbandona i poveri e i sofferenti a se stessi. L’economia civile vede la storia come una lotta per includere sempre più persone in società che rispettino la persona, senza discriminazione alcuna. Dalle società schiaviste e servili si è passati con difficoltà a società che proclamano i diritti umani, senza però saperli realizzare compiutamente. L’economia civile insegna quali sono le condizioni che permettono una migliore realizzazione di questi diritti umani e una loro diffusione all’intera umanità e mette in guardia sui possibili passi indietro che le nostre società attuali possono fare nella direzione di nuove schiavitù e nuove emarginazioni».

Sono possibili nuovi equilibri tra pubblico, privato e società civile?

«Nuovi equilibri sono non solo possibili, ma auspicabili. Infatti, abbiamo ereditato l’attuale concezione conflittuale di pubblico e privato dal socialismo, soprattutto nella versione marxista. Il socialismo è stata una reazione contro il capitalismo, che è una forma di economia di mercato in cui al centro sta il capitale e non la persona. Nel capitalismo, l’attività economica viene realizzata in funzione della massimizzazione dei profitti da distribuire ai detentori del capitale, con conseguente minimizzazione di ciò che viene distribuito alle altre persone. Il socialismo giustamente ha ritenuto questa organizzazione dell’economia inaccettabile, ma ha pensato che il problema si potesse risolvere espropriando i capitalisti e dando nelle mani dello stato tutto ciò che si poteva, fino a conferire allo stato l’intera responsabilità dell’economia (economia pianificata), un esperimento che si è rivelato fallimentare. L’eredità di questa stagione è l’idea che pubblico (stato) e privato siano alternativi e in perenne conflitto, con la società civile che tenta di porre qualche rimedio tampone ai guasti provocati dal privato e talora anche dal pubblico con un po’ di volontariato e filantropia. Un nuovo equilibrio – quello raccomandato dall’economia civile – vede invece un rapporto circolare di sostegno reciproco da parte dei soggetti collettivi della società: l’imprenditoria ha la responsabilità di produrre lavoro ed innovazioni per tutti, utilizzando la maggioranza dei profitti a scopi di investimento e non a scopo di consumi di lusso; lo stato ha sì la responsabilità della redistribuzione, ma ha soprattutto la responsabilità di varare leggi inclusive, giuste, solidali, di promozione dell’attività produttiva (e non dell’assistenzialismo); la società civile organizzata, a sua volta, deve attivarsi per controllare che i diritti umani siano realizzati per tutti e fare da apripista a soluzioni innovative sul piano sociale ed economico, capaci di dare risposte ai sempre nuovi bisogni delle persone. Ognuno dei tre soggetti ha una sua funzione, ma è solo dalla loro collaborazione che si avrà una società veramente civile».

Andrea Pranovi

( Pubblicato su www.ultimaedizione.eu il 22 maggio 2015 )

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