“La ministra ha incontrato i sindacati e gli enti locali. Stiamo lavorando tutti i giorni per consentire di ritornare in sicurezza a scuola a settembre”. Credo che dopo le parole “coronavirus” e “Covid-19” , quelle pronunciate dal Presidente Conte dal 31 gennaio (giorno del decreto emergenza sanitaria) ad oggi, siano state le più ascoltate: stiamo lavorando, stiamo provvedendo, ci stiamo organizzando e via dicendo.
Se il Governo fosse forte e coeso, credibile, sarebbero espressioni rassicuranti: essendo l’Italia all’ultimo posto dei Paesi OCSE in tema di fondi stanziati per l’istruzione, qualche dubbio sorge spontaneo.
In questi mesi di lockdown, dalla chiusura delle scuole a fine febbraio il tema del sistema formativo è stato vistosamente accantonato, quasi espunto dall’agenda politica. E’ stata elaborata una modulistica plurima e minuziosamente dettagliata per regolamentare le uscite da casa, gli spostamenti, i distanziamenti, l’utilizzo dei mezzi pubblici ma per le scuole – una volta sospese le lezioni in presenza e attivata, su iniziativa di ogni singolo istituto la DaD, nulla è stato previsto fino ad arrivare a ridosso degli esami di licenza media e di maturità. Eppure Istituto superiore di sanità, Protezione civile, virologi, Ministero della salute nel frattempo seguivano picchi e discese del contagio sociale: la politica avrebbe dovuto pensare che – archiviato in questo modo sbrigativo e totalmente delegato alle scuole e ai docenti il periodo della didattica alternativa – si sarebbe dovuto programmare l’avvio di un nuovo anno scolastico a settembre.
Questo mentre in altri Paesi le lezioni riprendevano, in classe, prima della fine di giugno.
Dopo il Documento della Commissione di esperti sanitari della Protezione civile del 28 maggio è uscita la Bozza delle linee guida elaborate dal gruppo coordinato dal Prof Bianchi presso il Ministero dell’Istruzione, contenente gli indirizzi organizzativo-didattici per la riapertura delle scuole: appena resa nota è stata accolta da un boato di disapprovazione e dissensi.
Significativa la bocciatura della didattica a distanza in alternativa a quella tradizionale: famiglie e persino alunni hanno opposto un fiero e risoluto “no” a questa ipotesi. Ciò dimostra che il rapporto insegnamento-apprendimento trova nella presenza in classe dei docenti e degli alunni la sua naturale e più efficace, gradita metodologia. La scuola è luogo di incontro e di relazioni umane: la tecnologia può svolgere una funzione integrativa e facilitativa ma non vicariante o sostitutiva.
Occorre riflettere su questa presa di posizione dell’utenza, in epoca di larga diffusione dei mezzi tecnici e di postulata digitalizzazione: evidentemente anche i ragazzi hanno compreso il valore empatico ed educativo della reciprocità diretta delle relazioni umane in situazione, non mediate da dotazioni che complicano e riducono comprensione e intensità emotiva all’interno del gruppo classe e reciprocamente con i docenti.
Dopo l’incontro con sindacati e Regioni pare che le mascherine per gli alunni non saranno più obbligatorie: ma resta da risolvere il problema della assunzione di responsabilità nell’allargare le maglie del distanziamento e della profilassi. Come sempre dopo l’ordine arriva il contrordine: però bisogna giungere a soluzioni decise e supportate dal parere degli esperti sanitari: su queste cose non si fa demagogia, ne va della salute di tutti, specie degli alunni e dei docenti, servono risposte chiare. Non dimentichiamo che la malattia sociale più diffusa è la sindrome da risarcimento: chi adesso grida “aprite” potrebbe chiedere spiegazioni e innescare contenziosi in caso di contagi. Restano poi diversi nodi irrisolti: l’organizzazione dei gruppi ridotti di alunni, ci sono gli spazi in tutti gli edifici scolastici? La sanitizzazione degli ambienti, la loro pulizia, i banchi singoli, le alternative alle classi pollaio. Serve, inutile dirlo un contingente maggiore di risorse umane: si può bandire un concorso di reclutamento nel cuore dell’estate? Come potranno sdoppiarsi gli insegnanti nel gestire più gruppi? Come saranno impostate la presenza e la metodologia differenziata per gli alunni disabili? In questi anni dentro il sistema scolastico si è combattuta una battaglia silenziosa tra la burocrazia crescente e debordante e la richiesta di semplificazione e funzionalità al servizio della didattica e della classe: è proprio la classe, nel suo essere gruppo di insegnamento-apprendimento che ha perduto attenzioni, tempo, efficacia, risultati. Mentre montava una preponderante burocrazia figlia dell’autonomia scolastica che si aggiungeva a quella già soffocante ministeriale. I docenti da tempo sono subissati da circolari e riunioni.
Gli Uffici scolastici regionali hanno assunto le sembianze di piccoli ministeri: quanto personale è stato distaccato dalle scuole per essere utilizzato in sede regionale nella gestione di progetti e progettini effimeri ed autoreferenziali? Perché non si comincia a fare una revisione in ogni sede regionale per valutare quanti docenti possono rientrare nelle sedi scolastiche di titolarità? Sarebbero certamente utili in questa fase di criticità e di carenza di risorse umane. Tutto quello che può essere sottratto alla burocrazia, anche negli stadi intermedi, e restituito alla scuola militante diventa subito valore aggiunto per la scuola del fare. Accanto al problema delle risorse umane resta quello della carenza di spazi: quando la Commissione se ne esce con le alternative dei teatri, dei cinema, degli spazi aperti, dei parchi e via dicendo fornisce una soluzione retorica e poco pratica. Quali scuole hanno un teatro, un cinema un parco nelle vicinanze? Nella stagione invernale si faranno lezioni all’aperto coi cappotti? Chi accompagnerà file di alunni in giro per quartieri o di paese in paese per trovare spazi alternativi? Si uscirà da una sede scolastica sanitizzata per affrontare l’impatto con ambienti non idonei dal punto di vista igienico?
Dalla fine di febbraio ad oggi le scuole sono state chiuse: perché non sono stati utilizzati i navigator e i percettori del reddito di cittadinanza per imbiancare i muri, mettere a posto i locali, attrezzare gli spazi con l’assistenza di Comuni e Province? Eppure nel frattempo tutti costoro ricevevano stipendio e bonus di disoccupazione (i navigator) il reddito per stare a casa (quindi una misura assistenziale non di incentivo al lavoro) i beneficiari. Proprio in questi giorni è emerso che solo il 2% dei percipienti il reddito sono stati impegnati in un’attività lavorativa: ci sono stati almeno 4 mesi e altri 2 ne restano per trovare modalità di impiego nelle scuole per attrezzarle dal punto di vista degli spazi: dovranno farsi carico anche di questo i docenti? Trovo sia un vulnus inaccettabile questo mancato utilizzo negli edifici scolastici dei destinatari del reddito: il 98 % di loro è rimasto inoccupato. Non ci hanno pensato i navigator ad accordarsi con gli enti locali e il Ministero dell’istruzione? Non ci ha pensato il Governo? Le agenzie per l’impiego?
Poi ci sono altre questioni che non potranno essere lasciate al caso: la consistenza dei gruppi di alunni, le didattiche alternative, la refezione, la ricreazione, l’entrata e l’uscita nei locali, la scuola aperta il sabato.
Certamente ogni singolo istituto provvederà ma senza risorse umane e finanziarie sarà difficile organizzare tutte le evenienze. I Dirigenti non sono sceriffi o comandanti ma persone responsabili e la responsabilità non è una colpa ma un merito.
Togliere l’ammasso ingombrante della burocrazia esistente, non aggiungerne altra, dotare ogni scuola dei mezzi necessari per fronteggiare ogni momento della giornata scolastica e semplificare le procedure.
Non servono DPCM di centinaia di pagine, sarebbe una vessazione insopportabile.
Serve, urge dare a chi esercita la responsabilità di gestire un istituto o una classe i mezzi per farlo con concretezza e , auspicabilmente, serenità. In poche parole “fatti”, non promesse.
Francesco Provinciali
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