E’ in atto un gran dibattito sul “politicamente corretto”. Anche se è questione già a volte affrontata, dopo l’articolo di Luca Ricolfi su La Repubblica ( CLICCA QUI ) , la discussione è ripresa  in maniera molto animata. Perché quel che nel ragionamento di Ricolfi è indicato come sostanza, cioè che come per i virus anche in questo caso sono nate delle varianti destinate a trasformarsi  in un qualcosa di “pericoloso per la convivenza democratica”, è bastato per far saltare su qualcuno a dire che Ricolfi e la Repubblica si sono spostati a destra. C’è grande insofferenza verso chi non vuole adagiarsi  solamente sui luoghi comuni e le comode parole d’ordine diffuse dal cosiddetto pensiero dominante e dal suo obiettivo di ridurci non nello stati di individui in grado di sviluppare cognizioni e giudizi proprie, ma a meri componenti un mansueto branco.

Detto terra terra: di questo verbalismo del “politicamente corretto”, di questo tentativo di nascondere la vacuità con le etichette stereotipate tanta gente si sta proprio stufando. In attesa, magari, che i diritti di tutti siano davvero garantiti, ma guardando alla sostanza e non alla retorica.

E’ evidente come la controversia tradisca in realtà un contrasto di visione politica tutta dipanata all’interno della sinistra italiana. Una sinistra in cui qualcuno, finalmente dopo tanti anni, sia pure prendendola dalla lontana, e in modo indiretto, comincia con timidezza ad affrontare alcune domandi cruciali che la riguardano: chi siamo? Cosa rappresentiamo? Dove vogliamo andare? Come ci poniamo di fronte al “pensiero dominante”, o “mainstream” che dirsi voglia?

Inseguendo la visione “liberal” nordamericana, come ricorda Ricolfi, a un certo punto la sinistra nostrana ha cominciato ad occuparsi di “altro”  rispetto alle questioni sociali, come sono ” i diritti civili, la tutela delle minoranze, l’uso appropriato del linguaggio”. Peccato che in Italia questo “altro” sia servito a dare un’immagine quasi totalmente assorbente della sinistra e il risultato è stato che i ceti popolari, quel che resta del mondo operaio, ma anche il trascurato bacino dei lavoratori autonomi hanno trovato altrove voce e rappresentanza.

Non è un caso se oggi la sinistra si trova in minoranza in quasi tutte le regioni italiane. Non è un caso se scorrendo l’elenco dei ministri succedutisi alla guida di quelli che dovrebbero essere due ministeri chiave per il mondo del lavoro, come quello del Lavoro e quello dello Sviluppo economico, ampi sono i “buchi neri”. Nel senso che non si riesce a collegare al nome dei ministri indicati dalla sinistra un qualcosa di sostanziale meritevole da considerarsi ciò che vada oltre l’ordinaria amministrazione. A volere essere generosi si potrebbe giusto ripiombare indietro nel tempo a quando Pier Luigi Bersani fece le famose “lenzuolate”, ma che molti neppure considerarono … di sinistra.

Così il dibattito sul “politicamente corretto” andrebbe portato sul piano direttamente politico e lì sviluppare alla luce del sole un confronto che potrebbe essere utile non solo agli equilibri interni alla sinistra, ma al tutto il Paese.

E’ evidente che, però, in questi giorni si pensa ad altro. E così riunioni riservate, più o meno conviviali ( CLICCA QUI ), magari di natura trasversale, sono esclusivamente destinata a quella parte della nostra classe dirigente, continuiamo a chiamarla così, che si occupa poco di questioni linguistiche e pensa più al sodo, come può essere la cosa per cui si stanno agitando tutti: le elezioni del prossimo Presidente della Repubblica.

 

 

About Author