La Svizzera avrà bisogno di coprire settemila posti da infermiere e, inevitabilmente, come fatto finora richiamerà personale italiano attratto dal ben più alto livello degli stipendi offerti nella Confederazione elvetica rispetto a quelli italiani.

E’ dunque allarme rosso per il nostro Sistema sanitario nazionale e una rinnovata occasione per i rappresentanti sindacali della categoria degli infermieri in Italia per sottolineare la profonda differenza dei trattamenti prevista di qua e al di là delle Alpi.

Torna così sull’argomento Antonio De Palma, Presidente Nazionale del sindacato Nursing Up che si chiede quali le conseguenze per questa fuga d’infermieri per aggravare l’instabilità del nostro sistema sanitario. “Saremo in grado, con i nostri 1400 euro al mese netti, che rappresentano la magra retribuzione di un infermiere di casa nostra, tra le più basse d’Europa, di contrapporre strategie degne di tal nome per arginare quella che si annuncia come una nuova fuga di professionisti italiani nella vicina Svizzera?”. E’ questa la domanda che non si pone solo lui a fronte della vera e propria “fuga” verso il Canton Ticino che è in atto da alcuni anni attirati come sono gli infermieri da uno stipendio in franchi svizzeri più consistente visto che giunge a toccare i 3500 euro netti mensili.

De Palma informa anche che la questione non riguarda solamente gli infermieri lombardi giacché ben 109 infermieri avrebbero lasciato l’Opi di Cuneo, cancellando la propria iscrizione dall’albo per aggiungere: “Solo nel 2021, secondo i dati forniti dall’Associazione socio sanitaria territoriale lariana (Asst), sono stati ben 283 i dipendenti che hanno abbandonato volontariamente la professione. Di questi oltre un centinaio, “hanno passato il confine” e hanno scelto di diventare frontalieri, per lavorare in pianta stabile nella sanità elvetica. Negli ultimi due anni oltre 150 persone, tra i dipendenti della sanità pubblica, nelle province di Como e Lecco, si sono licenziate e si sono impiegate nella Confederazione elvetica. Nel settore sociosanitario del Ticino, che occupa in totale quasi 16mila dipendenti, 4300 sono i frontalieri. Di questi il 70% si compone di italiani (per la maggior parte lombardi)”.

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