L’interessante convegno sul “Dopo Trieste”, in programma oggi, lunedì 9 dicembre, presso l’Università Lumsa, non deve rimanere un appuntamento isolato. Come sottolineato nella presentazione de “”Il Domani d’Italia”, il convegno “…non ha un carattere politico, in senso stretto, semmai costituisce un’occasione per indagare gli sviluppi, diretti o indiretti, della Settimana Sociale dei cattolici”. Ebbene sì, Trieste non deve essere trascurata perché richiama anzitutto il valore di un impegno che muove dal contesto civile e culturale, per coglierne tutta intera la forza dell’innovazione. Non si tratta di lanciarsi perciò nella formazione dell’ennesimo partito, magari etichettandolo cristiano, ma di riprendere un discorso sull’evoluzione – giusta ed umana – della società, come si ricava dalla tradizione dei cattolicesimo popolare e democratico.

“…Oggi non rimpiangiamo il passato… c’è qualcosa che è caduto e che doveva cadere, c’è qualcosa che è rimasto, e che è bene sia rimasto: ma soprattutto ci sono esperienze di vita, forze allenate, vitalità nuove, realtà più sentite, difficoltà superate, pensiero più maturo…”. Un metodo di indagine sociologica, questo, di matrice fenomenologica  che il lungimirante e sapiente autore, ivvero Luigi Sfurzo, ha sempre adoperato..

Se questo lessico suona attuale è perché riguarda proprio il “Dopo Trieste”. Giova, per questo, osservare attentamente la realtà per non ignorare il frammentato e plurale cattolicesimo politico, sociale e culturale italiano dei giorni nostri, alla ricerca di un’identità smarrita – non per colpa sua, ma per colpa della storia e della secolarizzazione. Il pensiero democratico dei cristiani, sebbene in apparenza disarticolato, è sostanzialmente ancora vivo, anche se va alla ricerca di un modo nuovo per tradurre la Dottrina sociale della Chiesa nella dimensione della vita pubblica contemporanea. Bisogna far tesoro dell’esperienza che annovera al suo interno figure come Dossetti, La Pira, Moro, fino a Mattarella; un’esperienza – vale la pena ricordarlo – che ha visto germogliare nel dopoguerra l’intuizione fattiva di De Gasperi per l’Europa unita.

Alcune parole che rimbalzano oggi con assoluta freschezza non sono recenti, visto che provengono dal lontano 1905. Le pronunciò a Caltagirone Luigi Sturzo – ancora lui – in un discorso che già allora mirava a fare entrare i cattolici italiani nell’agone politico, posto che fino ad allora erano rimasti all’opposizione dello Stato liberale. Egli divideva il mondo cattolico in due: i “cattolici democratici” (progressisti) e i “cattolici clerico-moderati” (conservatori). Questa divisione tuttora si riflette nel mondo cattolico e persino nell’ambito dello stesso Vaticano, stante il dissidio più che strisciante tra bergogliani e anti-bergogliani.

Riflettere su queste parole significa ripercorrere la lunga storia dell’impegno politico dei cattolici italiani nel Novecento, un impegno che si è confrontato – e ancora lo fa – con guerre, nazionalismi, emigrazione, capitalismo finanziario, intelligenza artificiale e suggestioni autocratiche di uomini forti. Al riguardo, Papa Francesco si esprime con la formula di “cambiamenti d’epoca”. Comunque, in questo contesto persino tumultuoso, il fluttuante voto dei cattolici italiani si orienta a maggioranza verso FdI e FI. Ed è un problema!

Non ci sono scorciatoie. E difatti, sull’attuale presenza di “…forze allenate, vitalità nuove, realtà più avvertite…”, nutro dubbi, specie se penso alla suggestione di un nuovo partito politico – ipotesi che troppo spesso ha oscurato l’importanza di un lavoro di analisi e approfondimento. Piuttosto, l’invito di Sturzo a superare il passato senza rimpiangerlo, pur conservando ciò che di buono è rimasto, ci sollecita a un pensiero più maturo.

Dunque, ritornare alla “Settimana di Trieste” e riscoprire il protagonismo che essa sollecita non è velleitario. È un’occasione per riprendere il dialogo, a partire dalle dimensioni locali e diocesane, facendo leva sul prepolitico, e quindi sull’associazionismo e sui movimenti civici. La sfida è coordinare le molteplici iniziative per non rimanere in silenzio e defilati, cercando piuttosto di essere protagonisti nella costruzione di una società sempre più a “dimensione umana”.

Ecco, bisogna ritornare alla “Settimana di Trieste”, come fa Lucio Dubaldo; rispolverare la partecipazione invocata in quella sede; sollecitare al protagonismo da testimoniare partendo dalle dimensioni  locali e diocesane facendo leva sul prepolitico culturale attraverso l’associazionismo comunitario sparso e i movimenti civici di volontariato;  ritornare  insomma  al farsi vedere e sentire senza rimanere in silenzio e defilati, messi da parte e scartati, non è questa volta e “Dopo Trieste” velleitario  o una perdita di tempo. Con una sola raccomandazione: quella di mettere insieme ogni tanto tutte le sparse iniziative e coordinarsi.

Nino Labate

 

Pubblicato su www.ildomaniditalia.eu

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