L’ autonomia che rivendichiamo per una nuova fase di iniziativa politica dei cattolici va precisata, almeno nei suoi tratti essenziali. Non basta invocarla, dopo che da quasi trent’anni il valore di questa condizione è stato abbandonato a sé stesso.
1 – Anzitutto, in nessun modo, “autonomia” significa chiamarsi fuori dal contesto, coltivando una sorta di orgogliosa autosufficienza. Al contrario, l’autonomia dei cattolici dev’essere accompagnata da un sentimento di attenzione e di ascolto nei confronti delle posizioni politiche ispirate ad altre culture. Per le quali la nostra posizione – fondata sulla ferma attestazione di un’identità inequivoca nelle sue radici culturali – deve rappresentare non una sfida bellicosa, ma piuttosto una sollecitazione diretta a favorire la condivisione del valore umano, razionalmente attestabile, che è intessuto dentro l’ordito dei principi e dei criteri di giudizio che ci appartengono in quanto credenti.
Tradotto sul piano dell’ iniziativa politica, questo significa adottare, come metodo d’azione, il principio di coalizione.
Il primo compito da assumere, del resto, è di carattere etico, ancor prima che immediatamente politico. Entriamo in una fase simile, sotto questo profilo, alla stagione del dopoguerra, quando era urgente porre in campo una visione complessiva che tenesse insieme i vari fronti su cui si andava sviluppando la ripresa del Paese, senonché, a tal fine, era sì indispensabile la razionalità di una “politica”, purché fosse accompagnata dalla riappropriazione, nel confronto politico e nel costume civile del Paese, di atteggiamenti di schiettezza, di franca e rude passione per l’oggettività delle cose, di confronto acceso, anche di scontro, ma infine pur sempre rispettoso della reciproca legittimazione tra le parti, nonché da sentimenti, per quanto declinati in forme politiche perfino contrapposte, in ultima istanza comuni in quanto a solidarietà ed aspirazione ad obiettivi di sviluppo civile e di giustizia sociale.
Oggi, al contrario, siamo dentro la stretta di un confronto sopra le righe, drogato da contrapposizioni personali che invischiano anche i sedicenti leaders in una cascata emotiva che offusca la criticità necessaria a formulare giudizi pertinenti.
Viviamo in un clima che va riportato ad una misura di reciproca tolleranza, di ponderazione e di ragionevole pacatezza che taluni potrebbero scambiare per una forma di prudenza impacciata e paralizzante, ma che, in effetti, ha a che vedere con quella serenità – virtù da “liberi e forti” – che, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà, è la premessa necessaria a quel discernimento che permette di coglier la decisione appropriata nel momento opportuno.
Che sia questo il vero senso della cosiddetta “moderazione”?
2 – In secondo luogo, va tenuto presente che l’ autonomia di cui parliamo nulla ha a che vedere con una pretesa di “unità” dell’elettorato cattolico, anzi si pone entro una cornice di riconosciuto pluralismo delle opzioni politiche dei credenti. Purché tale pluralismo non approdi ad un atteggiamento di indifferenza mal posta che, pur senza volerlo, alluda a quelle forme di relativismo oggi diffuse e nei confronti delle quali almeno chi crede, dovrebbe essere immunizzato. Insomma, ci sono dei punti di repere che il voto di un cattolico deve considerare vincolanti, pur nella libertà interiore della sua coscienza.
Il riferimento alla Dottrina Sociale della Chiesa, un’attenta cura dei valori civili attestati dalla Carta Costituzionale ed ancora quei sentimenti di condivisione, di accoglienza e di solidarietà che, diversamente da quanto succede in altre culture, non sono il portato necessario di forme strutturali della convivenza civile che generano automaticamente tali valori, ma piuttosto l’approdo di una tensione morale e civile che nasce dall’interiorità di ciascuno, dall’assunzione personale e piena di una responsabilità che non può essere delegata a nessun momento collettivo, ma soltanto fatta propria, da ciascuno per sé, individualmente.
3 – L’ autonomia si declina, poi, su due versanti: uno interno alla vasta area di cultura cattolica, cui noi stessi apparteniamo; l’altro rivolto alla dimensione complessiva del Paese e del sistema politico-parlamentare.
L’autonomia è in sé un valore nella misura in cui afferma una identità e rigenera gli spazi della sua agibilità.
Ovviamente si deve attestare in un programma, necessariamente articolato, ma che sappia dar conto di sé attraverso una “cifra”, cioè tramite un punto di sintesi che sia chiaro, dirimente ed emblematico, immediatamente comprensibile, cosicché basti citarlo per rendere esplicita la visione che intendiamo promuovere.
Stefano Zamagni ha già suggerito, nel nostro Manifesto, quel concetto-guida di “trasformazione” che segnala l’ambizione di un progetto e la sua vastità, quasi presentissimo il rumore minaccioso che, sia pure ancora lontano, annunciava l’onda montante che ci ha e ci sta tuttora travolgendo.
Anzi, la pandemia, se possibile, ha precisato meglio quale possa essere la chiave di volta di un tale percorso: transitare da un sistema del tutto incentrato sui valori dell’economia, ad un nuovo assetto complessivo della nostra convivenza che sia, invece, studiato in funzione del “capitale umano”, assunto come indirizzo ed unità di misura di uno sviluppo concettualmente diverso.
Il che significa, ad esempio, come prima approssimazione: centralità dei processi “educativi”, come già rilevato, anche in questo caso, da Zamagni; forte capacità d’investimento sui minori ( fasce dell’età infantile, adolescenziale, giovane-adulta); riassorbimento delle fratture sociali e del l’enorme divario di benessere che, oltre ad essere gravemente ingiusto e lesivo della dignità delle persone, è disfunzionale e pericoloso in termini di sviluppo.
4 – Nei confronti del sistema politico, considerato nel suo insieme, la presenza autonoma di una forza di ispirazione cristiana può concorrere alla chiarificazione di un quadro precario e confuso. Intanto, offrendo ai molti cattolici che hanno seguito Salvini, un’opportunità di ripensamento. Non si tratta di ingaggiare un braccio di ferro, né di fare del proselitismo sterile.
Nel quadro del legittimo pluralismo delle opzioni politiche cui anche i cattolici hanno diritto, ciascuno risponde a sé stesso e alla propria coscienza, ma sarebbe dissennato disperdere quelle riserve di solidarietà che ci sono in ogni caso nell’orientamento di chi crede, consentendo che queste energie vadano ad ingrossare le fila di una posizione politica  cresciuta esattamente contraddicendo tale indirizzo, anzi sollecitando sentimenti di avversione, di ostilità preconcetta, al limite – e forse oltre – della xenofobia, com’è successo nella fase in cui il Capitano sedeva – si fa per dire – al Viminale. C’era qualcosa di violento in quei gesti e la violenza si sa dove comincia, per lo più dalle parole, ma non si sa dove approda. Spesso molto lontano,per cui è bene rompere, prima che si può, questa catena perversa.
Anche ai cattolici ingabbiati nel PD bisogna offrire l’occasione di tornare sui loro fatali errori e ricredersi.  Consentendo ai dirigenti di quel partito di fare il loro mestiere. Quello, se ce la fanno, di ricostruire una sinistra che non c’è più, da quando smarrito l’antico ancoraggio ideologico, ha perso per strada anche la sua vocazione popolare e si è rinsecchita in un’altra opzione, anch’essa di ordine ideologico e di impronta radicale che poco ha a che vedere con la loro stessa sensibilità originaria.
E’ bene che ad ogni partito corrisponda una cultura ed ogni cultura che intenda farlo si esprima, sul piano dell’azione politica, con indirizzi e strumenti propri, secondo un costume di chiarezza che favorisca quell’attiva partecipazione democratica, offuscata e contraddetta dai bizantinismi e dagli incomprensibili incroci delle forze in cui culture diverse si mischiano e si annullano a vicenda.
Domenico Galbiati

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