Perché gli italiani tornino a votare c’è la necessità di una progettualità che abbia la capacità di guardare oltre lo status quo una progettualità che analizza il prossimo futuro illuminata dalla speranza che solo gli uomini di buona volontà accompagna.

Don Sturzo dopo la fondazione del Partito popolare italiano, propose nel 1921 a Venezia, durante i lavori del III Congresso nazionale del partito, un nuovo ordinamento dello Stato fondato sulla costituzione della regione, come «ente elettivo-rappresentativo, autonomo-autarchico, amministrativo-legislativo»: la regione è infatti per Sturzo una realtà naturale in cui meglio può realizzarsi il decentramento e l’autonomia fiscale, ad evitare fenomeni di anarchia, va coordinata a livello nazionale. Già nell’Appello a tutti gli uomini liberi e forti del gennaio 1919, Sturzo testualmente diceva: «Ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali, la famiglia, le classi, i comuni».

Come ognuno può riscontrare, il riferimento ,  di singolare attualità  al principio di sussidiarietà  da sempre considerato essenziale ai sistemi federali è da Sturzo rivendicato come insopprimibile in una società non statalista . L’adesione ad una visione autonomista nei rapporti fra governo nazionale e comunità locali sorge prestissimo nel giovane Sturzo e l’accompagna si può dire per tutto il corso della sua vita, saldandosi da un lato con il suo meridionalismo e dall’altro con un approccio antistatalista che continua perfino nel periodo della Repubblica. Così negli anni Sturzo avvia una forte lotta contro lo Stato accentratore, riprendendo da siciliano il problema del decentramento amministrativo che già avevano sollevato i gruppi cattolici che si rifacevano a Giuseppe Toniolo e Roberto Murri e in effetti lo Stato regionale uscito dai lavori della Costituente, secondo quanto sostenuto da Gaspare Ambrosini già nel 1933, pareva realizzasse gran parte delle rivendicazioni autonomistiche del programma di Venezia.

Pur fra numerose, oltre che minuziose critiche, il sacerdote, con svariati interventi su autorevoli giornali fra il marzo e il maggio del 1947 e con la sua raccolta La regione nella nazione del 1948, difese con vigore la scelta del costituente rispetto agli interessati detrattori dell’istituto regionale. «Cattaneo e gli altri — scrive Sturzo — non volevano una federazione di Stati belli e fatti; essi si opposero ad uno Stato uniformizzato e centralizzato, essi volevano uno Stato strutturalmente unitario e organicamente regionalista. Non si tratta di cambiare la struttura unitaria dello Stato in struttura federale: si tratta di dar voce reale, effettiva e libera al popolo attraverso l’elettorato e la rappresentanza regionale». A coloro che l’accusavano di voler smembrare l’Italia col federalismo, replicava: «La regione non può prendersi come una semplice circoscrizione territoriale, come è in Francia il dipartimento. La regione nostra dovrà essere messa in equidistanza fra il dipartimento francese e il cantone svizzero. Le regioni non saranno mai Stati sovrani, come sono i cantoni svizzeri, limitati solamente dall’autorità confederale che li unifica: né potranno considerarsi dei semplici dipartimenti, nei quali si esprima sola e tutta l’autorità dello Stato».

Hanno ancora senso tute le regioni che abbiamo? Al nord abbiamo 5 regioni a statuto ordinario e due a statuto speciale, due province autonome. Perchè non renderle tutte autonome? La frammentazione delle regioni è funzionale all’unità del paese? Oppure eliminiamo le province ed aumentiamo il numero delle regioni?  Sono elementi di riflessione che richiedono approfondimenti e che vanno otre l’autonomia differenziata.  Già nel 2015 il Ddl Ranucci-Morassut proponeva la soluzione  a 11 regioni, la Società geografica italiana ha elaborato negli ultimi anni  una proiezione a 31 regioni eliminando le province e le aree metropolitane.

Mauro Zenoni 

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