I due interventi di Joe Biden e di Vladimir Putin ci hanno solo detto che la guerra continua. Il Presidente americano ha parlato da Varsavia per mostrare nuovamente alla Russia come la determinazione occidentale non si stia indebolendo, anche se evidenti solo le variegate sfumature che caratterizzano molti paesi europei.
Biden e Putin hanno entrambi constatato come la portata dell’invasione dell’Ucraina sia andata ben oltre una questione locale. Biden ha detto: “le sfide dell’invasione si sono estese oltre i confini dell’Ucraina”. Poche ore prima, da Mosca, Putin aveva annunciato la decisione di tirare fuori la Russia dal Secondo Trattato Start (Strategic Arms Reduction Treaty) e, con ciò, il ritorno alle condizioni del mondo del 1991. Quando il primo accordo Start venne firmato da Bush padre e Eltsin per aprire una nuova era sulla via della riduzione degli arsenali delle armi di distruzioni di massa, tra cui quelle nucleari. Intendiamoci, comunque le due grandi potenze atomiche ne hanno abbastanza a disposizione per distruggere svariate volte il mondo, giacché quell’accordo prevede il limite di dotazione per ciascuno di 1550 testate atomiche.
Lo Start costituiva in ogni caso il simbolo di quella nuova direzione che le grandi potenze volevano prendere all’insegna della cooperazione e della fiducia reciproca piuttosto che secondo quello spirito di frizione continua, e sempre in grado di mettere il mondo di fronte alla finestra dell’angoscia atomica, come era stato per decenni dopo il secondo conflitto mondiale. Destinato in ogni caso a durare fino al 2026, il Trattato Start trovava una delle sue principali ragioni d’essere nei controlli incrociati che, sostanzialmente sospesi durante i due anni di pandemia, non saranno più ripresi.
Nasce, insomma, una nuova era. Qualcuno pensa che si vada verso la definizione di un nuovo ordine mondale. Nasce tutta in salita, però, e in una condizione destinata a durare incerta. A lungo. Questo perché le relazioni tra Usa e Russia sono praticamente sospese a seguito dell’invasione dell’Ucraina e sostituite da una sfiducia reciproca che si ritrova solo risalendo a decenni e decenni fa.
Si è creato un clima tale per cui, anche se le parti decidessero di rinegoziare il Trattato Start, nel Congresso americano e nella Duma Russa nessuno potrebbe mettere oggi la mano sul fuoco per la certezza di una sollecita sua approvazione. Un ulteriore elemento di difficoltà potrebbe venire dall’inevitabile coinvolgimento della Cina che, secondo molti esperti americani, a breve sarà in grado di raggiungere, anch’essa, la dotazione atomiche di circa 1500 ordigni. Entriamo dunque nuovamente in un limbo d’incertezza e di preoccupazione.
Quella che Putin continua a definire una “operazione militare” rischia, insomma, di diventare solo una parte di uno scontro che egli per primo ha interesse, com’è evidente dalla lettura di tutti i suoi principali interventi dal gennaio di un anno fa in avanti, a far diventare più generale e, persino, di civiltà. Trovando in questo un’adeguata controparte in molti ambienti anche dell’Occidente. Mentre sarebbe necessario lavorare anche per la Pace.
In entrambi i discorsi dei due presidenti ci sono dei “non detti” che pesano. Putin non lascia intravedere alcun spiraglio neppure di tregua. Biden, a differenza di un anno fa, nella stessa Varsavia di ieri, non ha ripetuto il concetto che, come fa notare Giuseppe Sacco, Putin non possa rimanere alla guida della Russia e non ha detto alcunché in risposta alle richieste pressanti ucraine di forniture di quelle armi che potrebbero fare incamminare il conflitto lungo una ripa incontrollabile.