Ricostruire l’Italia. Ecco uno slogan così in voga in questi mesi. E quale migliore modo di ripartire se non dalle “case”, dalle adorate dimore degli italiani, che tanto amano i loro spazi di vita e dove si celebra(va)no i principali eventi da ricordare?
Se poi si considera che ancor oggi la “casa” è il bene principale degli italiani, e si tengono a mente le preoccupazioni per un futuro “sostenibile” ambientale, il connubio tra ristrutturazione (non solo estetica) della dimora ed efficienza energetica appare certamente felice.
Sicché è oggettivamente bello sentir dire dal Governo italico del momento che chiunque voglia, a determinate condizioni, investire nella propria casa per migliorarne efficienza energetica ed indirettamente estetica, potrà farlo “a costo zero”.
Tutto sembra connotato da nobili intenti e principi, posto che si prospetta l’applicazione del principio di eguaglianza, poiché questo interesse di per sé vale per tutti gli italiani, per tutte le famiglie e persino per i singoli, senza distinzione di sesso, razza o religione ed altre differenze più o meno giuridicamente rilevanti nel tempo presente.
Gli slogan sono del resto conformi al sopra espresso principio ed incentivano gli italiani a fare qualcosa che chiunque all’apparenza farebbe: solo gli stolti, avendo una simile possibilità, non si avvierebbero ad effettuare quanto auspicato dal Governo attuale.
Eppure, poco o nulla si muove e non solo per le consuete lunghezze burocratiche e per i tempi lunghi del Parlamento, che qualcuno ritiene potrà lavorare più velocemente se ridotto ai minimi termini. Ma se è a “costo zero”, perché non dovremmo vedere invasa l’Italia da cantieri? Già “a costo zero” … che però non è sinonimo di “gratis”, poiché lo “zero” implica una somma che dia un risultato nullo (lo “zero”, appunto).
Tale “zero”, nel nostro caso, si può dunque prospettare sostanzialmente in due modi: o gli addendi sono entrambi pari a “zero”, oppure all’investimento (costo) deve fare da contro-altare una somma di pari importo che viene data all’investitore, di modo che finanziariamente si rimborsi integralmente l’esborso effettuato. Naturalmente la somma “finale” sarà sempre pari a “zero” anche quando il “rimborso” venga frazionato nel tempo”, posto che alla matematica non interessa moltissimo il tempo nel quale vengono ad esistenza gli elementi da sommare, poiché li dà per presupposti ed esistenti.
Poiché devono essere effettuate delle “opere”, pensare che si lavori senza alcun investimento od esborso monetario è piuttosto ingenuo ed insostenibile. Ed infatti il sistema congeniato dal Governo attuale è stato quello di prevedere che le somme “spese”, sempre secondo le condizioni – che qualcuno già prospetta come “capestro” – opportunamente congegnate dal Governo, possano “recuperarsi” sino al 110% in 5 anni secondo recuperi “fiscali”: insomma non si pagherebbero imposte sul reddito (nei prossimi 5 anni) per un valore complessivo pari al 110% dell’investito.
Ne consegue che il “costo zero” lo potrà avere chi possa pagare, per i prossimi 5 anni, imposte sul reddito pari almeno ad 1/5 dell’ammontare del costo sostenuto: diversamente non vi sarà “costo zero”.
Già da questa semplice disamina emerge che chi potrà beneficiare di tale “storico” intervento è un soggetto che:
– abbia o possegga una casa (cosa ormai non di tutti …);
– possa fare l’investimento richiesto nei termini previsti dall’articolata normativa (anche attuativa) predisposta dal Governo;
– lavori o comunque maturi redditi rilevanti per il fisco italiano per i prossimi anni.
Considerato che si è in fase economica assai critica e vi è la ragionevole certezza di una riduzione di reddito per la maggior parte degli italiani, la possibilità concreta di uno sviluppo significativo di tale “incentivo”, astrattamente capace di rilanciare l’economia italiana, sia piuttosto fiacca ed a di poco velleitaria.
Si dirà: ma il “credito” è cedibile all’impresa o alla banca, che a sua volta potrà versalo all’impresa! Certo … ma sempre che la possibilità del “credito” esista.
Talune banche stanno chiaramente incentivando la cessione del credito d’imposta, ammettendo che la cessione avvenga “pro-soluto”: ciò significa che non si garantisce l’adempimento dello Stato (cosa anche praticamente impossibile, trattandosi di compensazione verso debiti in favore dello Stato), ma, appunto, l’esistenza del credito fiscale.
Ora è chiaro che il punto nodale sta tutto nell’esistenza del credito, che è un credito pluriennale e che può essere invocato solo a fronte di un esborso reale. Anche qui si obietterà: ma le imprese potranno direttamente “scontare” in fatture il credito fiscale in questione. Verissimo: potranno ma non dovranno, sicché ciò potrà avvenire in alcuni casi, ma non come regola, tenuto presente che il settore dell’edilizia è in forte crisi e che la cessione ha per oggetto “crediti da compensare in sede fiscale”. Per cui, se – come nella fase attuale – non vi sono redditi adeguati, non è possibile lavorare solo per ottenere “compensazioni”: qualcuno dovrà pure mangiare o pagare stipendi.
Da quanto sopra esposto, allora emerge un dato semplice, quanto inequivocabile: chi potrà seriamente beneficiare del superbonus sarà chi avrà disponibilità liquide (magari prese anche a seguito di finanziamenti bancari ad hoc) capaci di poter pagare l’impresa appaltatrice dei lavori.
Tenuto conto del basso reddito medio degli italiani (che è intorno a 20.000€ netti all’anno), dell’erosione del risparmio degli ultimi anni, e che si prospetta per quest’anno e per l’inizio del prossimo anno una riduzione del reddito in conseguenza degli effetti socioeconomici del Coronavirus, non stupirà se in effetti non vi saranno “rivoluzioni” nei cantieri italiani.
Naturalmente, si opporrà che tale aspetto è marginale e che in fondo ciò non toglie la “bontà” dell’iniziativa. E’ vero: l’iniziativa, nella sua configurazione progettuale, è da lodare; ma così come prospettata, contiene insidie.
Se oggi le banche sospendono mutui e si prospettano mesi di cassa integrazione, connessi a blocchi di licenziamenti, significa che la situazione finanziaria italiana è fortemente in crisi. Se così è, poiché oggettivamente in pochi potranno investire risparmi od ottenere in tempi rapidi finanziamenti per 20/40/50 mila Euro per riqualificare energeticamente le proprie case, il rischio è di agevolare i più ricchi, non i più poveri.
Se per contro, si dovesse sviluppare incredibilmente (ma non si sa come, viste anche le restrizioni all’orizzonte sul distanziamento sociale connesso alla “seconda ondata” ed i criteri “economici” sulle opere adottare), si porrà comunque a carico dell’intera società il “costo finanziario” di tale iniziativa, poiché i debiti (diretti o indiretti) dello Stato non svaniscono nel nulla … Insomma, ciò che si contesta è l’idea (assai diffusa) secondo cui tutti (o quasi) potranno ragionevolmente riqualificare le proprie abitazioni a “costo zero”.
Nell’economia, come nella realtà fisica, nulla si crea dal nulla: se la ricchezza “complessiva” si muove, bisogna comprendere la direzione. Si crede che la direzione non sarà verso “i più poveri e bisognosi” e con ciò non si intende fornire alcun rilievo di per sé negativo, ma oggettivo. Potrà, dunque, certamente avere un beneficio chi avrà disponibilità monetarie adeguate: per gli altri non si sa. Ecco che non stupirà se alcuni notabili sfrutteranno legittimamente tali benefici e se molti, moltissimi ignoti rimarranno così come sono o sono sempre stati …
Più di tutto, però, si contesta l’idea sottostante all’intero progetto: che lo “sconto” delle future imposte possa oggi incentivare la ripresa economica. Ciò non è vero, se non in un periodo di sviluppo, non di fortissima recessione, ove ciò che interessa è di aver la possibilità di avere un lavoro nei prossimi anni.
In un clima di fortissima incertezza, ogni investimento sull’immobile non muove gli animi e non risolleva la voglia di inventare, di progettare il futuro … poiché tutto ciò presuppone la piena libertà, che ha come suo riferimento elettivo la libertà personale e di movimento, libertà oggi fortemente ridotta. Del resto, una gabbia, benché dorata o ben riscaldata, è sempre una gabbia …
Ecco allora che l’enorme sforzo (almeno sulla carta) di sgravi fiscali offerti, forse bene avrebbe potuto e dovuto rivolgersi a nuove attività, allo sviluppo di beni e servizi, nell’ammodernamento vero e non burocratico dei servizi alla persona … avrebbe dovuto, insomma, considerare che la “casa” è sì un luogo bello, anche dove eventualmente lavorare, ma che l’idea del lavoro, quello vero, presuppone l’incontro, l’interazione e lo scambio anche di idee… in una parola la mobilità reale.
La mancanza di uno sguardo vero verso il futuro è ciò che contraddistingue il provvedimento in questione; una mancanza di vera progettualità, che impedisce di voler davvero comprendere il presente con tutte le sue difficoltà ma anche con tutte le sue potenzialità.
Speriamo che almeno non si sprechino anche queste risorse, che almeno ci si renda conto che la polis non è fatta di case ma innanzi tutto di cittadini, orgogliosi di essere parte della comunità e pronti a difenderne i valori e non tanto a trincerarsi in dimore “chiuse” ed “inaccessibili” anche agli amici… specie se veri!
Alfredo De Francesco
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