“Almanacchi, almanacchi nuovi, lunari…” scrive Giacomo Leopardi nel suo noto

“Dialogo di un venditore di almanacchi e di un  passeggere”. E il passeggere  sei tu, ragazzo che ti accingi a votare per la prima volta o quasi, esposto alle promesse dei candidati alle elezioni che come l’imbonitore di Leopardi ti dirnno che il futuro sarà felice.

 

Ma tu sai bene che vivi in un Paese che ha cambiato sedici governi in ventotto anni,  ha cambiato sette maggioranze diverse più tre governi tecnici, con partiti politici- a volte improvvisati e affollati di incompetenti-che di fatto hanno tenuto fermo il Paese perché l’azione del governo e del Parlamento non si improvvisa.

Eppure non siamo un Paese incapace e refrattario alla democrazia. Nei quarant’anni successivi alla seconda guerra mondiale siamo stati capaci di fare grandi riforme, trasformando l’Italia da una realtà in macerie alla seconda potenza industriale europea, elevando il tenore di vita della popolazione dal livello di sussistenza e dall’analfabetismo esteso alla realtà di un ceto medio diffuso, operoso e con attività manifatturiere di eccellenza.

Nelle prossime settimane sarai raggiunto da mille appelli per sollecitare il tuo voto.  Ti basterà un minimo di attenzione per accorgerti che in fondo sono in competizione due schieramenti che ambiscono al potere: uno genericamente di centrodestra e l’altro sempre genericamente di centrosinistra, utilizzando figure ormai superate.

La realtà è un’altra.

Da una parte c’è un gruppo di partiti che si dichiarano nazionalisti con tendenze al sovranismo, sospettosi verso l’Europa, non uniformi nei confronti delle nostre alleanze occidentali, sbrigativi davanti al fenomeno delle immigrazioni e con malcelate tentazioni di superare la democrazia parlamentare. Dall’altra c’è un “campo largo” genericamente progressista, non certo omogeneo nelle sue radici, dove più che largo il campo è aperto sino a trovarci di tutto e non vale certo la pena in questa sede di elencare che cosa.

Di fronte a questi due schieramenti sarai costretto a scegliere, e forse il tuo disagio nasce proprio da questa semplificazione perché hai certamente la percezione che il nostro paese non è più quello della divisione tra guelfi e ghibellini, o tra bianchi rossi o neri, ma è più complesso, articolato, ricco di creatività, di sensibilità, di idee, di sogni.

Che fare allora?

Ti suggerisco di fare la tua scelta superando l’insufficienza ormai degradata degli appelli di coloro che vedono soluzioni semplici a problemi complessi, e piuttosto  utilizzare pochi criteri di giudizio che devono essere solo tuoi.

Il primo è certamente quello di essere sempre dalla parte di chi rispetta la Costituzione della Repubblica Italiana che è costata sangue e sacrifici, ha impegnato le migliori intelligenze di una classe dirigente sapiente, garantisce le libertà, il metodo democratico e l’equilibrio dei poteri.

Poi di essere dalla parte di chi lotta contro le disuguaglianze, purtroppo sempre più drammatiche e diffuse dopo la crisi pandemica, la guerra, lo strapotere della finanza. E quindi dalla parte di chi difende e rispetta il lavoro, fondamento essenziale della nostra convivenza.

E’ proprio tutelando il lavoro che possono aprirsi spazi per consentirti di esprimere la creatività che accompagna sempre le nuove generazioni, di accedere ai saperi, di valorizzare il ruolo delle donne nella società, di rispettare il pianeta terra, di mettersi in gioco nella difesa dei più deboli e dei più fragili.

Considerando poi la grande irruzione della geopolitica nel tempo che viviamo, essere con intelligenza dalla parte dell’Europa che, nonostante tante difficoltà, resta la terra dei diritti umani e civili non a caso minacciati dalle autocrazie che vorrebbero smembrarla. E nello stesso tempo guardare con attenzione anche al di là dei confini, al Mediterraneo in particolare e all’Africa dove si giocherà il futuro dell’occidente.

Ecco quello che mi sento di raccontare a chi si accinge per la prima volta, o quasi, a votare. Sempre considerando che la politica ha pur sempre un limite, riducendosi alle poche ma importanti ragioni che possono giustificarla.

Nel successo come nella sconfitta. Ma pur sempre nella speranza.

Guido Puccio

 

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