C’è un timido risveglio delle opposizioni. A Genova, in modo particolare. Timido quel poco per cui la sinistra non deve enfatizzare il risultato, pur positivo, che ha ottenuto. E, nel contempo, sicuramente timido, eppure quel tanto per cui la destra non deve sottovalutare il segnale che l’elettorato, per quanto si tratti di un campione ridotto, le ha fatto pervenire. Infatti – e lo sanno anche a destra – gli smottamenti cominciano dal primo sasso che scivola a valle.
Due milioni di elettori sono uno scampolo da cui non è possibile trarre indicazioni che siano inopinatamente trasferibili dal piano di una consultazione amministrativa a quello di una elezione politica generale che si terrà tra due anni. Per quanto, talvolta, anche elezioni locali siano un sismografo finissimo che segnala assai per tempo i sommovimenti del terreno. Gli “umori” che li accompagnano e sono avvertibili prima che cristallizzino in forma di “ragioni”.
Intanto, conforta, soprattutto, la tenuta dell’elettorato attivo. Se non altro, si è interrotta la deriva che, di volta in volta, vedeva crescere l’astensionismo anche nelle elezioni locali. Almeno per quanto concerne Genova, non va trascurato il fatto che vi sia stata una più alta partecipazione al voto e contestualmente, un incremento del consenso alla sinistra che ha condotto al successo di Silvia Salis. Cosa c’è in pancia alla tuttora vasta platea degli astenuti?
Ne va sottaciuto il fatto che sia PD, sia Movimento 5 Stelle non abbiano potuto, oppure osato, esporre un proprio candidato – sarebbe risultato, in ogni caso, divisivo all’interno della coalizione stessa – e si siano affidati ad una candidata sostanzialmente “civica”, espressione, non etichettata politicamente, della società civile.
Comunque la si metta, la valutazione complessiva del dato elettorale, assunto nella sua generalità, non può che essere prudente. Così per quanto riguarda l’attrattività delle liste di partito che va giudicata tenendo presente la presenza significativa di liste cosiddette “civiche”, a fianco dell’uno o dell’altro candidato. Ma, appunto, poiché questa condizione vale per tutti, non può essere passato sotto silenzio il fatto che – siamo sempre a Genova – il PD ha superato di almeno tre lunghezze Fratelli d’Italia, incagliata poco sopra il 10%.
Infine, ciò he, comunque, resta è la caduta del mito dell’imbattibilità di Giorgia Meloni. E non è cosa da poco. Perché quando si insiste troppo sul carisma del leader, si rischia di trasformarlo in una figura intangibile che, in quanto tale, non può sopportare nemmeno una scalfittura, se non a rischio che essere sospinta verso una china scivolosa. In atri termini, la partita non è affatto pregiudicata per la sinistra. Quanto sia più o meno aperta lo si comprenderà meglio con la “regionali” del prossimo anni.
La sinistra – o centro-sinistra che sia – ce la potrebbe fare. A patto di determinare talune condizioni. La prima delle quali è un atto di generosità che i leader di tale schieramento dovrebbero fare, fin d’ora, nei confronti del Paese. Privilegiando davvero l’interesse di quest’ultimo e, dunque, mettendo da parte – a cominciare da Schlein e Conte – le proprie, pur legittime, aspirazioni a guidare la coalizione verso Palazzo Chigi, a favore di un processo più inclusivo.
Domenico Galbiati