Siamo ancora lontani dall’appuntamento elettorale che vedrà nella prossima primavera la chiamata alle urne degli elettori delle principali città italiane, tra cui Roma, ed è già partito il gioco delle candidature. Nomi altisonanti. Così, le candidature appaiono come tanti fuochi artificiali sparati in alto, verso la volta stellata che sovrasta la Città eterna.

Una volata lunga. A meno che non si tratti di Mario Cipollini, sarà molto difficile vedere reggere lo sprint da parte di chi lo sta già ingaggiando ben prima dei 500 metri finali. Del resto, stando ai nomi che ascoltiamo proporre come Sindaco ideale di Roma la serata pirotecnica o la gara ciclistica si trasformano in uno specie di Risico. Molto televisivo e verticistico. Come se fossero cose del tutto secondarie le dinamiche sociali, la partecipazione popolare e il necessario confronto tra le grandi aree politiche, vecchie e nuove, che concorreranno alla competizione per la scelta del Sindaco e della squadra destinata a salire al Campidoglio.

Partiamo da una prima considerazione: a Roma non si sta, e tanto meno si governa, se non si ha una visione universale. Mancando nella storia del Campidoglio i La Pira, se ne vedono le conseguenze perché pochissimi, nella Roma moderna e repubblicana, sono stati i personaggi di una tale levatura.

Seconda considerazione: Roma non si governa se le casse sono vuote. Solamente il sindaco Rutelli si trovò in una simile congiuntura positiva e, così, anche i suoi detrattori più accesi devono riconoscere che è pur sempre stato uno dei migliori Primo cittadino della Capitale. Merito suo? Demerito degli altri? Egli ebbe a disposizione una discreta massa finanziaria e seppe gestirla.

Terza considerazione: Roma, anche se parliamo di ciò che non è mai stato fatto, deve coinvolgere la gente, favorire la partecipazione, riannodare i fili di una comunità municipale frammentata e persino dissociata. La reazione al Coronavirus da parte dei ” romani” ( tra virgolette perché i veri romani, quelli che, come si soleva dire una volta, hanno salito “li tre scalini” di Regina Coeli, sono sempre più minoranza) ha stupito il mondo intero.

Da qui si dovrebbe ricominciare. Dalla riscoperta di un senso di comunanza che pure questa città non ha del tutto smarrito. Nonostante sia stata tanto martoriata da classi dirigenti inadeguate, il dover sopportare soprattutto i pesi che comporta l’essere Capitale, un inurbamento velocissimo e dal carattere anarcoide, quello che accomuna il piccolo con il grande, il povero con il ricco, la periferia con il centro cittadino.

Non si può e non si deve partire da candidati sindaco paracadutati dall’alto sulla base di valutazioni salottiere che continuano nel metodo e nella sostanza a perpetuare la celebre frase del Marchese del Grillo: “Io sò io e voi nun siete un …” , cui la grandiosa utilizzazione da parte di Alberto Sordi non toglie quel sapore amaro che lascia dopo la prima spontanea risata.

E’ sbagliato ridurre i problemi di Roma al lancio di nomi a casaccio facendo intravedere che, alla fine, c’è una strumentalità nelle proposte che mirano ad altro. Sparare un volto televisivo sperando che quella faccia supplisca alle carenze politiche strutturali di chi la propone. Altri nomi, con una cifra politica in più, sembrano lanciati più per mettere in crisi le coalizioni cui si dice di voler far parte. Poi, non c’è niente di meglio per bruciare la candidatura di un “amico” che lanciarla così a casaccio, all’insegna, sempre per rifarsi a un’altra espressione romana, del ” vai avanti tu che a me … me viè da ride”. Poi ancora, ci sono le ambizioni personali, ma quelle non mancano mai. Quel che manca è il chiedersi quale sia il modo migliore, e la persona, e la squadra, per  prendersi cura del bene della città.

Allora ai nostri amici pirotecnici diciamo: partiamo dai problemi di Roma e della sua area metropolitana, di chi la vive o la frequenta o l’utilizza. Preoccupiamoci della crisi occupazionale; delle scelte sbagliate del passato da raddrizzare in tantissimi settori, dai rifiuti, alla viabilità, ai trasporti; dalla presenza di larghe aree cittadine sorte senza un piano regolatore e, quindi, dell’arredo urbano indegno di una delle città più ricercate al mondo; del ruolo, ripeto universale, che Roma deve riassumere agli occhi di se stessa e di quelli del mondo. Si allarghi il tavolo delle scelte per individuare reali competenze ed effettive capacità politiche e gestionali, si indichino le priorità. Su questa base sarà poi possibile passare ai nomi, ma solo dopo aver individuare la strategia, le convergenze necessarie a far si che il nome migliore emerga non in relazione agli equilibrismi politici che fanno comodo ai partiti, bensì perché funzionale allo sviluppo di una suggestione rigenerativa.

Ovviamente, noi siamo per un progetto capace di mettere assieme cattolici e laici, di coniugare lo spirito dell’autonomia con quello del civismo animato dalla presenza in quasi tutti i municipi di uno spirito libero, chiaramente alternativo alla struttura politica che ha fallito e continua a fallire a Roma. Un progetto inclusivo, dunque, in cui si riconoscano le parti attive di società civile che credono nella possibilità d’impegnarsi per il riscatto cittadino e richiedono un’impronta nuova a una veramente nuova amministrazione capitolina. Per questo è necessario far partecipare tanti sulla scelta tra questo nome o quell’altro.

In ogni caso, riconoscendo che Roma non può vedersi tarpata le ali nel solito giochetto della contrapposizione tra destra e sinistra, dei fronti contrapposti dal sapore antico e del quale approfittano, come hanno sempre fatto, i grandi interessi che, una volta scattata la foto ricordo di una delle città più belle del mondo, lasciano che la sostanza della realtà vera non sia quella rappresentata dalle cartoline.

Giancarlo Infante

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