«È ridicolo pensare che verrà giorno in cui gli uomini, concordi sui massimi problemi della vita e dell’essere, abbatteranno religioni e metafisiche per vivere solo e sempre nel regno dell’esperienza sensibile. Quel giorno, che per fortuna non verrà mai, sarebbe un gran brutto giorno». Sono le parole di Carlo Rosselli, martire della libertà, il teorico del socialismo liberale, antifascista, ucciso in Francia il 9 giugno 1937, insieme al fratello Nello, da una squadraccia di “cagoulards”, legata al regime fascista.

Con queste parole Rosselli intende misurare la distanza siderale che separa il suo ideale dalla variante marxista del socialismo, affermando che, «da che mondo è mondo», il pluralismo, dal quale emergono le differenze di opinioni e le prospettive metafisiche, promuove lo spirito di libertà «e non c’è uomo non volgare che non l’abbia provato in sé medesimo».

Salutiamo con grande interesse la pubblicazione di una nuova edizione del classico di Carlo Rosselli: Socialismo liberale, scritto tra il 1928 e il 1929 durante il suo confino a Lipari. L’opera vide la luce nel 1930 in Francia a cura di Stefan Priacel, mentre la prima edizione italiana è datata 1945, a cura di Leone Bertone, con la revisione di Aldo Garosci.

La presente edizione è curata da Danilo Breschi, il quale è autore anche di una preziosissima introduzione. L’importanza di un libro scritto quasi cento anni fa potrebbe apparire abbastanza relativa; in fondo, il marxismo, in quanto teoria economica, è stato confutato, Marx ancora vivo, dalla teoria marginalista, e in quanto pratica politica è stato superato dagli eventi. Eppure l’opera conserva intatta la sua attualità che consiste nel monito dell’autore rispetto alla pretesa totalitaria di dar vita a sistemi politici che negano la libertà in nome di una inesistente necessità storica.

È questa forse la grande lezione che ci ha consegnato Rosselli, l’idea che il liberalismo, anche nella versione socialista, sia figlio del pensiero critico moderno e non possa mostrarsi prono alla dimostrazione scientifica della bontà e della necessità del socialismo. Per Rosselli, il socialista liberale non si illude di possedere il segreto dell’avvenire e non pretende di essere il depositario di alcuna verità in materia sociale. In breve, Socialismo liberale vuole essere la definitiva affermazione dell’autonomia del socialismo dal marxismo, considerato da Rosselli una forma di religione, con i suoi dogmi e la sua dottrina, spacciata per analisi scientifica, nonostante il suo pesante fardello di determinismo.

È evidente che simili posizioni urtassero con la visione marxista dominante all’interno della galassia socialista italiana ed è emblematico come Palmiro Togliatti recensì il volume nel 1931 sul mensile «Lo Stato Operaio». Il leader comunista liquidò Rosselli come «un ricco, legato oggettivamente e personalmente a sfere dirigenti capitalistiche» e come «un dilettante dappoco, privo di ogni formazione teorica seria». Per Togliatti, Rosselli non era altro che un «borghese presuntuoso», il quale farebbe da sponda a quel «socialfascismo» con il quale, sin dal 1924, il Comintern aveva bollato la socialdemocrazia in quanto «frazione del fascismo che si dissimula sotto la maschera del socialismo». È questa la cosiddetta reductio ad fascistum, richiamata da Breschi nell’introduzione, citando Leo Strauss, con la quale si intende avvicinare l’avversario più prossimo a quello più distante; in breve, al male assoluto, senza preoccuparsi di confutarne le idee.

Rosselli si oppone all’idea che il socialismo possa essere solo marxista e, in nome di tale rivendicazione autonomista, propone il metodo liberale come architrave del suo socialismo liberale. Rosselli ha in mente l’esperimento laburista britannico di Ramsey McDonald e la prospettiva della Fabian Society, invitando il movimento socialista italiano ad accogliere il metodo liberale, improntato al principio democratico dell’autogoverno e della rappresentanza per definire le comuni regole del gioco che garantiscono la pacifica convivenza dei cittadini e delle classi sociali.

L’antifascismo socialista liberale e riformista di Rosselli e di Matteotti è impresso sulla pietra con il loro sangue, così come quello dei popolari sturziani Giuseppe Donati e Francesco Luigi Ferrari, e dovrebbe essere motivo di riflessione che proprio queste due grandi culture politiche siano così assenti nel discorso politico dei nostri giorni.

Flavio Felice 

Pubblicato su Avvenire

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