In una recente partecipazione ad “Otto e mezzo”, Michele Santoro ha sostenuto che i cattolici sarebbero comparsi “improvvisamente” sulla scena politica del Paese; che la politica, dunque il potere, sarebbe la loro vera religione e non altro; che le loro recenti iniziative dividono la sinistra ed indeboliscono la Schlein nella sua funzione di guida del fronte alternativo alla destra.
Si tratta di valutazioni per lo meno imprudente. O meglio non suffragate dai fatti, per quanto siano poste con quel tono oracolare, assertivo e perentorio di cui Santoro fa volentieri sfoggio.
Comparsi improvvisamente..? Le cose decisamente non stanno così. Se la si osserva dal punto di vista del rilievo immediatamente politico del loro ruolo, la presenza dei cattolici ha assunto, si potrebbe dire, un andamento ritmico.
Il Partito Popolare nasce dalla lunga sedimentazione della stagione del “non expedit” e dell’Opera dei Congressi. La Democrazia Cristiana compare dopo un ventennio di studio e di sotterranea opposizione al fascismo. Insomma, si sono susseguite fasi di diastole e di sistole, cioè ogni stagione di assunzione di una diretta e rilevante responsabilità politica è stata resa possibile solo come maturazione e fisiologico approdo di un paziente ed operoso impegno sociale e culturale. Altro che improvvisazione.
La presenza dei cattolici, da ben oltre un secolo a questa parte, è stata una costante nel discorso pubblico del nostro Paese, anche quando non si è manifestata espressamente in termini di responsabilità prettamente politica ed istituzionale. C’ era, dunque, da aspettarsi che, dopo trent’anni, l’antica radice cercasse di riprendere il vigore smarrito, come pare stia finalmente succedendo.
Se ne sorprende chi, in cuor suo, ha sperato che la partita con i cattolici fosse chiusa una volta per tutte e tutt’al più potessero tornare utili come ascari al servizio di altre bandiere. Senonche, nella loro bimillenaria storia, i cristiani hanno sepolto legioni di becchini che si apprestavano a celebrare le esequie della loro fede.
In quanto, poi, alla declinazione politica della loro religione, la cifra che i cattolici le hanno impresso è stata, anzitutto, nel segno della libertà, prima che del potere.
Un potere che ha conosciuto momenti di appannamento delle sue ragioni, anche perché, se vogliamo, rovesciando una facile vulgata, è stato inchiodato a quella vera e propria “convention ad includendum” che, per un verso, ha preso in carico la tenuta dell’ordinamento democratico, per altro verso ha impedito che la Democrazia Cristiana potesse rinnovarsi, secondo l’auspicio che fosse “alternativa a sé stessa” evocato dal Presidente Moro.
Infine, Santoro sa meglio di noi che, in quanto a capacità di scomporsi e ricomporsi, comunque nel segno della divisione, la sinistra, storicamente, basta largamente a sé stessa. E questo avviene nella misura in cui il suo impianto ideale conserva le tracce di una postura ideologica difficile da abbandonare integralmente e tale per cui ogni difformità di pensiero si trasforma in un puntiglio divisivo.
Del resto, lo si condivida o meno, le più recenti iniziative dei cattolici vanno, a quanto pare, in direzione esattamente opposta ed, infatti, sono avvenute nel segno di una riscossa del loro ruolo, orientata a comporre, piuttosto che indebolire un disegno seriamente alternativo alla destra.
Insomma, occorre pazientare e sopportarci ancora. Non è giunto, a dispetto di tanti, il momento del “de profundiis” per una libera, autonoma, autorevole presenza del cattolicesimo politico nel nostro Paese, in un frangente storico talmente delicato.
Domenico Galbiati