La tragica situazione che stiamo vivendo e che ancora non accenna a mostrare i confini, sollecita spontaneamente tre domande principali: quali sono le cause, di chi sono le responsabilità, quali sono i rimedi.

La lunga e interminabile lista delle povere vittime, l’eroico sforzo giornaliero di tutti gli operatori sanitari, la generosa disponibilità dei lavoratori che direttamente o indirettamente continuano a prestare il loro servizio per consentire il buon funzionamento della vita sociale, la generosità di ogni persona che volontariamente presta aiuto all’altro meritano onore e rispetto.

L’unanime senso di riconoscenza si deve tradurre innanzitutto in un veloce potenziamento del sistema sanitario e assistenziale per sostenere la battaglia in corso e nell’approntare più efficienti misure di difesa per neutralizzare futuri attacchi di analoga specie.

Ma le sole modifiche organizzative non appaiono sufficienti per porre rimedio a una situazione di generale precarietà. Questa dolorosa esperienza, per la forza autodistruttiva che l’accompagna, deve rappresentare una lezione di vita per tutti; un forte richiamo da non lasciar cadere. Per tale motivo è necessario comprenderne i motivi al fine di evitare, sino a che si ha tempo, il suo ripetersi. Per chi si ispira ai valori cristiani, tale indagine diventa oltremodo indispensabile.

In proposito è opportuno ricordare le riflessioni di Papa Benedetto XVI all’esplosione della crisi del 2008 dalla quale non si è mai realmente usciti: “La crisi è di natura etica e non economica: il secondo aspetto è conseguente al primo”. Riflettendo sul pensiero del Pontefice Emerito, si potrà meglio comprendere la portata e il senso dell’attuale tragedia.

Per i devastanti danni arrecati all’intera società sul piano politico, economico e sociale –  i costi delle crisi come noto ricadono in gran parte sui più deboli –  sarebbe stato lecito attendersi allora da parte delle autorità internazionali, in epoca di globalizzazione, una esplicita condanna delle tecniche utilizzate e il divieto nel proseguirne l’utilizzo. Un chiaro segnale di necessaria svolta etica e di nuovi comportamenti.  Purtroppo, niente di ciò è avvenuto; solo parziali interventi di aggiustamento e richieste di maggiore protezione a carico del mondo del credito. La finanza speculativa è proseguita così indisturbata, l’economia reale non ha trovato il necessario sostegno, il ricorso al debito finanziario è cresciuto in maniera esponenziale battendo ogni record. Le disuguaglianze sociali all’interno delle singole comunità sono aumentate, la povertà si è acuita, le tensioni politiche riaccese, i tessuti sociali disgregati.

Altrettanto insufficienti si sono rivelati i pochi interventi in materia di politica di bilancio fatti da alcuni stati per modificare gli assetti costituiti, necessari per un riequilibrio sociale e un contenimento dei profitti.  La concentrazione in poche mani delle ricchezze si è così progressivamente accentuata; tale processo ha favorito inoltre il formarsi di oligarchie politiche che influenzano fortemente il potere legislativo, favorendo l’allargamento della forbice sociale. L’azzardo morale della finanza procede indisturbato con la complice tolleranza delle autorità, se non con la loro implicita corresponsabilità.

L’individualismo e l’egoismo, fattori scatenanti della crisi, hanno attecchito saldamente nell’Uomo e sono ora difficili da rimuovere.

Ma in passato la situazione non era così, almeno non sempre. Nel periodo post bellico, prevalse uno spirito di solidale cooperazione alimentato dal desiderio di migliorare le condizioni di vita. La società di allora si identificava nei caratteri distintivi della civiltà occidentale: libertà, democrazia, solidarietà, religione cattolica.  Quest’ultima permeava con i suoi valori e principi ogni aspetto della vita quotidiana del singolo e della società.

Successivamente, purtroppo, l’individuo, di fronte all’abbondante e diversificata produzione di beni materiali, frutto meritato del suo impegno, si è lasciato sedurre dalla brama di possesso, confondendo i mezzi con il fine. Anteponendo l’interesse personale alle esigenze sociali, si è progressivamente allontanato dalla natura di essere relazionale e solidale, inaridendosi interiormente.

La nuova idolatria ha aperto un vuoto antropologico che si tenta di colmare ricorrendo a surrogati artificiosi: ritmi crescenti di lavoro, frenetica intensità di vita, competizione esasperata.  L’istituto della famiglia ne paga un caro prezzo. I genitori, chiamati entrambi al lavoro, prestano minor cura ai doveri familiari. La donna trascura il suo peculiare ruolo di educatrice e formatrice. I figli hanno smarrito il costante punto di riferimento dei genitori. Le tensioni di coppia aumentano, complici anche il lungo tempo trascorso sui luoghi di lavoro e la tentazione degli agi.

In tale contesto hanno trovato facile terreno istanze e costumi volti a delegittimare i valori e gli istituti naturali in quanto ritenuti d’intralcio al pieno dispiegamento della libertà individuale e al godimento dei beni: separazioni, divorzi, aborti, relativismo, ateismo, disordine morale. Al contrario, si sono affermate forme di liberazione estrema: droga, teoria gender, eutanasia. Il senso religioso è stata confinato in ambito privato, il senso del trascendente ridimensionato. Sciolto dai vincoli del codice etico, l’individuo fatica a distinguere tra bene e male, ha abbandonato la strada del sacrificio personale e della responsabilità sociale, preferendo scorciatoie per il rapido successo. La diffusione della corruzione e della criminalità ne sono espressioni. La cultura dominante, aggravando la situazione, si è conformata a tale stato di cose, influenzando generazioni di giovani.

Alcune costanti del nuovo stile di vita hanno un forte impatto economico: il facile ricorso al debito e la preminenza della ricchezza privata sulla pubblica. Il debito, statale o individuale, è fattore destabilizzante di ogni realtà economica, indebolendone le difese soprattutto in situazioni di emergenza; il secondo fenomeno disgrega il tessuto sociale, penalizza le categorie più fragili, mette in difficoltà il funzionamento dello Stato, crea tensioni di classe. Inoltre, è alla base di conflitti sul piano delle relazioni e motivo di indifferenza alla questione ecologica.

Alla luce di tali considerazioni, si possono meglio inquadrare le ragioni e le eventuali responsabilità della tragica pandemia in corso.

Dalle informazioni scientifiche di maggiore credito, risulterebbe altamente probabile che la pandemia si sia generata in Cina all’interno di luoghi di lavorazione e di commercio di carni animali. All’origine del morbo vi sarebbero quindi comportamenti che hanno violato le più elementari norme di igiene e di salute pubblica e leggi di ordine naturale. La tragedia in corso inoltre costituirebbe l’ultimo di una serie di episodi di analoga specie e gravità, sviluppatisi sempre in Cina negli anni passati.  Altri ne potranno presto seguire se non si interviene prontamente a rimuoverne le cause.

Come noto, la Cina, affrancatasi da un ferreo regime comunista, si è avviata verso un sistema capitalista, in modo sconsiderato. Da una parte conservando aspetti del precedente regime: violazione dei diritti civili, di pensiero, religiosi. Dall’altra, lanciandosi in una affannosa corsa per giungere ad un rapido progresso e per ridurre velocemente le distanze che ancora la separano dal mondo occidentale. In tal modo ha sollecitato un attivismo esasperato nella popolazione che si è immediatamente allineata alle peggiori prassi capitaliste: corruzione, criminalità, sperequazioni sociali. La popolazione cinese è passata dall’incubo del comunismo a quello del capitalismo.

In nome del successo bruciante, si prendono rischi ambientali di ogni genere compreso un pericoloso e vasto programma di centrali nucleari. Ogni forma di commercio è ammessa e tollerata purché produttrice di profitti. Nel caso specifico, si aggredisce brutalmente la natura animale e vegetale, sacrificandola sull’altare della correttezza delle regole di vita e della incolumità della persona.

La pandemia di covid-19 sarebbe conseguenza di comportamenti immondi, con effetti paragonabili a crimini all’umanità. Ora è legittimo pretendere che – augurandoci di uscire in qualche modo dalla fase emergenziale – si chiariscano le sue cause e si individuino eventuali responsabilità per renderne conto all’intera famiglia umana. Non voler fare luce sulle fonti di una catastrofe dalle proporzioni pari a quelle di una guerra mondiale, sarebbe un atto di gravissima ipocrisia. Archiviarlo come accadimento fortuito di origine sconosciuta sarebbe delittuoso. Significherebbe piegarsi verosimilmente ad un vile quanto inaccettabile compromesso tra etica e rapporti d’affari: non sarebbe il migliore servizio da rendere alle vittime e a tutti coloro che si sono eroicamente impegnati per vincere la guerra. Lascerebbe inoltre la porta spalancata al prossimo nemico.

Scoprire la verità è indispensabile: è in gioco il futuro del genere umano. Non si hanno infatti certezze sugli effetti e la durata del virus né sulle sue conseguenze epidemiologiche né sulle ripercussioni sulle nostre realtà e le nostre abitudini di vita. C’è il forte timore inoltre che a questa tragica esperienza ne possano in ogni momento seguirne altre anche di superiore gravità. Che potremmo vivere in uno stato di perenne incertezza. Si continuerebbe ad investire miliardi di risorse in laboratori di ricerca, nella produzione di vaccini sempre più sofisticati, avvitandosi in una assurda perenne rincorsa.

Appare quindi evidente l’esigenza di cambiare il modello di sviluppo dominante. È un’occasione da cogliere per una svolta rigenerante. Mettere sotto processo solo la Cina appare una soluzione tanto necessaria nel caso specifico quanto insufficiente in generale. Va rivisto il sistema, al quale anche la Cina si ispira, che ruota intorno all’interesse economico preminente. È un virus ancora più letale del Covid-19, ha infettato ogni ramo dello scibile, dall’economia alla politica, dalla cultura allo sport. La crisi finanziaria del 2008 e quella pandemica del 2020 rappresentano due facce di una stessa medaglia. Origine etica, in forme e campi differenti, a conferma del ricordato assunto del Pontefice.

Senza una chiara svolta moralizzatrice, non si uscirà da una situazione di crisi permanente. Ognuno è chiamato a fare la propria parte rivedendo la scala dei valori e delle priorità, cambiando le abitudini di vita, moderando le pretese per favorire un’equa distribuzione delle utilità e opportunità. Una retta condotta individuale è premessa per il conseguimento di veri e duraturi benefici sul piano sociale, soprattutto in favore delle generazioni future. Una classe politica con la P maiuscola che abbia a cuore i destini dell’uomo e voglia apportare nuova linfa, dovrà affrontare con coraggio ogni problema avendo a mente, in primis, il bene della persona e della collettività, rimuovendo metodi e pratiche in uso che non rispondono a tale criterio. Senza infingimenti né giustificazioni opportunistiche.

Non vi sono altre vie d’uscita. Viviamo in un mondo idolatra, narcisista, espressioni della società consumistica. Ne vogliamo invece uno diverso, trasparente, dai veri valori umani, altrimenti il sacrificio dei nostri fratelli e sorelle sarà stato inutile. Il cambiamento si presenta arduo, ma l’occasione è importante. Occorre fare un passo indietro sul piano materiale e uno in avanti su quello etico. I due aspetti sono strettamente interconnessi: il disordine morale produce disordine materiale. I segnali all’orizzonte non incoraggiano: pur in presenza della incombente minaccia di un nemico invisibile, non s’intravedono chiari cenni di autocritica, di ammissione di colpa ma al contrario pretese e ingiustificata presunzione. Tuttavia, sullo sfondo delle tristi e dolorose vicende di chi sta soffrendo, si scorgono bagliori di aiuto generoso e solidale che travalicano anche i confini nazionali. Inducono ad un cauto ottimismo ed incoraggiano a coltivare la speranza di credere in una profonda volontà di rinnovamento.

La responsabilità verso la storia, l’amore per le prossime generazioni e il dovere di fede sono validi ragioni per non tirarsi indietro.

Carlo Ranucci

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