Il 6 maggio il Tribunale di Pisa ha respinto il ricorso inoltrato da una coppia di donne che avevano chiesto di dichiarare illegittimo il rifiuto opposto dall’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Pisa al ricevimento della dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale da parte della c.d. madre intenzionale, nei confronti di un minore nato in Italia da madre statunitense. Il Tribunale, dopo aver richiamato la Corte costituzionale, innanzi alla quale aveva nel medesimo procedimento sollevato eccezione di illegittimità, ha confermato la piena legittimità del rifiuto di iscrizione, affermando che trattasi di «discriminazione solo apparente. Infatti, ben diverso è per lo Stato riconoscere una situazione che di fatto già esiste nel mondo naturalistico e ha trovato assetto formale in un altro ordinamento (limitandosi ad accettarne le conseguenze) e dare disciplina e possibilità di creazione della stessa situazione nell’ordinamento interno.»
1. La vicenda processuale trae origine dalla richiesta di una coppia di donne di iscrivere entrambe sull’atto di nascita del figlio, nato in Italia a seguito di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo cui si era sottoposta la donna statunitense, in accordo con l’altra, cittadina italiana.
L’Ufficiale di Stato Civile rifiutava di iscrivere anche la maternità della c.d. “madre intenzionale”, ravvisando un contrasto sia con la legge n. 40 del 2004, sia con la giurisprudenza comunitaria, ai sensi dell’art. 8 della CEDU. Le ricorrenti hanno sostenuto che il rifiuto dell’Ufficiale di Stato Civile, che si sarebbe limitato a un’applicazione meramente formalistica del dato normativo (art. 250 cod. civ.) e del principio di tipicità e vincolatività del contenuto degli atti dello stato civile (art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 396/2000) avrebbe determinato un pregiudizio per il minore, precludendogli il riconoscimento dei diritti che sarebbero potuti derivare dal genitore intenzionale, compreso quello di acquisire la cittadinanza italiana.
Le ricorrenti hanno poi dedotto che «il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore d’intenzione» si porrebbe in contrasto con la tutela dell’interesse superiore del minore, oltre che con il diritto alla ‘bigenitorialità’. Il best interest era quindi correlato al senso a esso dato dalle due donne che intendono entrambe essere dichiarate genitore del figlio, mentre la bigenitorialità era declinata come la necessità di riconoscere due soggetti, e non uno solo, genitori del bambino.
2. L’Avvocatura dello Stato, dopo avere negato rilievo giuridico all’unione contratta negli USA dalle due ricorrenti, qualificata dalle stesse “inopinatamente” come matrimonio, ha sottolineato che il bambino è nato in Italia, e che quindi in Italia deve formarsi l’atto di nascita. Ha aggiunto «l’impossibilità nel nostro ordinamento di realizzare una genitorialità disgiunta dal dato biologico (eccezion fatta per il caso dell’adozione)», richiamando «il divieto normativo che anche la legge n. 40/2004 reca in sé, laddove esclude che si possa accedere alla procreazione medicalmente assistita tra persone dello stesso sesso».
L’Avvocatura ha ricordato che la Corte EDU riconosce a ciascun ordinamento ampi margini di discrezionalità nel prendere decisioni su questioni come quella in esame, e che anche la legge dello stato di appartenenza della madre biologica non prevede che nell’ambito di una coppia lesbica in cui una delle due partner si è sottoposta a PMA eterologa, l’altra partner in forza del mero consenso possa essere riconosciuta come genitore del neonato. Per questo ha sollecitato il rigetto del ricorso.
3. Con ordinanza del 15 marzo 2018 il Tribunale rimetteva alla Corte Costituzionale il giudizio di legittimità costituzionale, al fine «di inquadrare la fattispecie concreta nell’ambito della norma di conflitto più adeguata ed individuare, così, la legge applicabile al caso». Ciò, in quanto il bambino è cittadino dello Stato del Wisconsin, come il genitore biologico. L’incidente di costituzionalità veniva definito con sentenza (n. 237/19) di inammissibilità: nel corso di tale giudizio ha depositato un proprio atto di intervento, ritenuto non ammissibile non essendo ancora operativa la disposizione, in seguito introdotta dalla Consulta, sugli ‘amici curiae’.
Secondo il Giudice delle leggi “Il Tribunale ordinario di Pisa non chiarisce (…) se la “norma desunta” – della quale auspica la caducazione, «nella parte in cui non consente di formare in Italia un atto di nascita in cui vengano riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalità straniera due persone dello stesso sesso, quando la filiazione sia stabilita sulla base della legge applicabile in base all’art. 33 legge 218/95» − sia: (a) la stessa norma interna sulla eterogenitorialità, di cui egli presupponga, e chieda a questa Corte di rimuovere, la necessaria applicabilità in sede di formazione (ma non anche, peraltro, di trascrizione) dell’atto di nascita di un minore cittadino straniero; ovvero (b) una norma sulla “azione amministrativa”, regolatrice dell’attività dell’ufficiale di stato civile, che gli impedirebbe di formare l’atto di nascita di un minore straniero in cui si riconosca al medesimo uno status previsto dalla sua legge nazionale, ma non da quella italiana”. Tale incertezza ha motivato l’inammissibilità.
4. Il Tribunale di Pisa, ripreso l’esame del fascicolo, ha respinto il ricorso, per la ragione che «non può procedersi al riconoscimento tutte le volte in cui la costituzione del rapporto di filiazione sia normativamente vietata». Ha così richiamato gli art. 5 e 12 co. 2 legge n. 40/2004, in tema di procreazione medicalmente assistita, che consente l’accesso a tale tecnica di fecondazione solo per le coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi.
Ha in proposito rievocato la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. n. 7668/2020 e n. 8029/2020) e della Corte Costituzionale (di recente con la pronuncia n. 32/2021), che ha negato ai nati a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di due donne, effettuata all’estero, lo status di figli di entrambe: e questo perché in Italia non sono previste «forme di genitorialità svincolate dal rapporto biologico».
Il Tribunale ha quindi osservato che il procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile, previsto dall’art. 95 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, «è diretto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, qual è o dovrebbe essere nella realtà (…) e quale (…) risulta dall’atto dello stato civile, (…) in quanto la funzione degli atti dello stato civile è proprio quella di attestare la veridicità dei fatti menzionati nei relativi registri, ai sensi dell’art. 451 cod. civ., che costituisce norma di ordine pubblico» (ex plurimis cfr. Cass. n. 21094/2009). E, nell’ordinamento nazionale, madre è colei che partorisce il bambino.
Anche i richiami alla Corte EDU (Menesson c. France, Labasse c. France, Foulon et Bouvet c. France, parere consultivo del 10 aprile 2019) confortano il Giudicante nella motivazione della propria tesi, ulteriormente avvalorata dalla considerazione che «la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente legata alla presenza dei figli e comunque il riconoscimento e della libertà dell’atto che consente di diventare genitori non implica che tale libertà possa esplicarsi senza limiti (Corte Cost. n. 162/14)».
Ha pregio la riflessione del Giudicante, che con riferimento alla denunciata lesione dell’art. 3 Cost. osserva che «la circostanza che esista una differenza tra la normativa italiana e le molteplici normative mondiali è un fatto che l’ordinamento non può tenere in considerazione. Diversamente opinando, la disciplina interna dovrebbe essere sempre allineata, per evitare una lesione del principio di eguaglianza, alla più permissiva tra le legislazioni estere che regolano la stessa materia (Corte Cost. n. 221 del 2019; Corte Cost.,sentenza 20 ottobre 2020 – 4 novembre 2020, n. 230)». Con la chiosa che «il diritto alla genitorialità non può essere rimesso all’autodeterminazione assoluta degli interessati».
Il Tribunale afferma con chiarezza «che (condivisibile o no) si può decidere di volere di che sesso essere, anche quando non si cambia quello biologico, ma se si vuole diventare genitore, occorre rispettare la aspettativa naturale del bambino ad avere una mamma ed un papà che siano tali all’anagrafe e nella vita vera».
5. Per nulla condivisibile è invece l’asserzione che sia «ormai pacifica nel nostro ordinamento la trascrivibilità dell’atto di nascita formato all’estero di minore nato a seguito di inseminazione eterologa o maternità surrogata»: al contrario, tale riconoscimento si traduce nel consentire nel nostro ordinamento di fruire del ‘frutto’ dell’illecito (maternità surrogata) compiuto all’estero: con ciò si aggirano le norme imperative e i divieti sanciti dalla legge italiana, come riconosciuto del resto anche dalla Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso “Paradiso e Campanelli v. Italia” del 24 gennaio 2017.
6. Un ulteriore passaggio del provvedimento è criticabile. Il Tribunale afferma che «seppur non potremmo mai trascrivere un matrimonio poligamico contratto all’estero, le mogli che vivessero in Italia avrebbero tutte diritto alle stesse forme di tutela e a vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali nascenti dalla situazione creatasi all’estero».
L’affermazione, oltre a non confrontarsi col fatto che in Italia anche la ‘semplice’ bigamia costituisce reato ai sensi dell’articolo 556 cod. pen., non corrisponde al dato di realtà: se non è riconosciuto lo status di coniuge, nella specie di moglie, neppure possono essere riconosciuti i diritti (e gli obblighi) a esso inerenti (di natura alimentare, successoria, economici o morali). Il Tribunale ha evidentemente voluto esprimere tale concetto per giustificare l’assioma successivo, cioè che i figli di due madri, nati sulla base di un consenso alla procreazione medicalmente assistita, «avranno diritto avvedersi riconoscere l’assistenza, la cura, l’educazione che ogni genitore deve ai propri figli, indipendentemente dall’atto di nascita. Quest’ultimo non può formarsi in Italia ma il genitore di intenzione, sulla base di consenso formato all’estero, non potrà per questo sottrarsi alle sue obbligazioni genitoriali».
Emerge la biasimevole tendenza, stabilita primariamente per via giurisprudenziale, a modificare i limiti e la portata dell’istituto matrimoniale in genere, e di quello famigliare in particolare, ben oltre i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, da tempo cristallizzati dalle pronunce della Corte Costituzionale (ex plurimis cfr. C. Cost. n. 46/1993; 236/2008; 81/1992; 206/1999), senza tenere conto del perimetro fissato dall’art. 29 Cost., che riconosce la famiglia quale società naturale, non quale prodotto artificiale, cioè non liberamente manipolabile dal legislatore o dalle toghe.
Margherita Prandi e Aldo Rocco Vitale
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