Ci vorrebbe uno statista. Merce rara. Rarissima. Di cui, qui da noi, si sono perse le tracce. Quando un Paese come il nostro affronta un tornante della sua storia particolarmente arduo avrebbe bisogno di una guida sicura. Affidata non al classico “uomo forte”, ma ad uno “statista”. Nel primo si raggrumano gli umori di un tempo contorto, che, incartato nelle sue contraddizioni, abbassa la guardia e cede al ricatto di chi promette di tagliare il nodo gordiano con un sol colpo di spada.

L’ “uomo forte” è l’artefatto di un passato che non passa, di un tempo stagnante, solo apparentemente vorticoso, in realtà costretto a riverberarsi su di sé in una circolarità asfissiante. Lo “statista” è colui che unisce la capacità di cogliere la “cifra” del momento e di declinarla in un futuro nutrito di speranza, con il vigore morale necessario a costruire la storia.

L’ “uomo forte” si rivolve e si dissolve nell’immagine, nell’evocazione di un trasporto emotivo, irrazionale eppure accattivante perché ti assolve dalla fatica di pensare in proprio, di esporre la tua personale coscienza all’onere della responsabilità. Basta tener dietro, allineati e coperti, al pifferaio del momento e si marcia compatti e sicuri in un gregge protetto e guidato dai cani-pastore. Infatti, quando una democrazia cade o arretra non è mai solo per colpa di chi la usurpa, ma pure – e forse a maggior ragione – dell’ inerzia morale, dell’ ignavia di chi si offre ad una simile deriva oppure dell’ imperizia delle forze organizzate che dovrebbero dar conto delle insopprimibili istanze di libertà che vengono sacrificate. Hitler è stato un “uomo forte; Churchill uno “statista”. Mussolini è stato un “uomo forte”; De Gasperi uno “statista”.

Lo statista – prudente e, ad un tempo, audace – aggrega attorno ad un pensiero, sollecita la ragione, esige capacità critica ed autonomia di giudizio, vuole condivisione, partecipazione, consenso attivo, non mera fedeltà, omologazione, obbedienza e passività. Lo “statista” sa cogliere il tempo, non perde le finestre di opportunità che il succedersi degli eventi gli offre. Ma, soprattutto, sa distinguere e distingue dalla sua appartenenza di parte il
ruolo istituzionale che gli compete. Sa che quest’ultimo gli conferisce la responsabilità e l’onere di rappresentare l’intera collettività, non solo la parte che sente politicamente affine. Lo “statista” fugge da ogni adulazione e da qualunque forma di “culto della personalità”, al contrario dell’ “uomo forte” che è sostanzialmente costretto ad alimentarla perché se si concedesse, a fronte della pubblica opinione, un solo passo falso rischierebbe dil crollare l’intero castello che si è costruito attorno, prigioniero di sé stesso.

Insomma, fatti i debiti conto, ci vorrebbe una “statista”, ma uno statista oggi non c’è.

Domenico Galbiati

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