Nella notte tra l’8 e il 9 giugno ci ha lasciati Guido Bodrato, presidente emerito dei Popolari piemontesi. I funerali si terranno lunedì 12 alle ore 9 nel Duomo di Chieri
“È come una maledizione… il pensiero politico, quando lo hai, dalla testa non ti va più via!”. Così ci diceva Guido, malfermo sulle gambe e aggrappato al braccio della figlia, sul sagrato della sua parrocchia, dove aveva dato l’ultimo saluto all’amatissima Irma. E senza di lei, compagna di una vita sempre condivisa, non ha saputo resistere che poche settimane. Il senso di vuoto è stato evidentemente più forte del “pensiero politico”…
Guido lo ha comunque coltivato fino all’ultimo. Sino a quando le forze lo hanno sostenuto non ha mai fatto mancare la sua presenza in tutte le sedi in cui veniva invitato per parlare di politica. Anzi, di Politica: arte nobile, “la più alta forma di carità”, come la definì Paolo VI, quando è ispirata alla giustizia sociale e al bene comune. E in questi ultimissimi anni, indebolito nel fisico dall’età, ha continuato con scritti, interviste e tweet a rappresentare i valori del cattolicesimo democratico.
Dei cardini del popolarismo Guido è stato un testimone vivente, in tutta la sua lunga esperienza politica. Un Maestro di coerenza, sempre capace di attualizzare nel continuo divenire del presente gli insegnamenti dell’etica e della storia.
Guido è stato per tanti anni un uomo di partito e di governo, un esempio di rettitudine e profondità di pensiero. Un leader tranquillo, coinvolgente. Per i giovani di Forze Nuove il suo divorzio politico con Donat-Cattin fu una ferita dolorosa, che non impedì a tanti di continuare a votarli entrambi. Le preferenze erano uno strumento di libertà…
Nella Milano di Tangentopoli fu inviato come commissario della DC, ma non bastarono i galantuomini come lui (che non erano pochi nello Scudocrociato…) a salvare un’esperienza politica frutto di una fase storica che si era conclusa. Ne era, lui per primo, consapevole: non fu mai perciò un “reduce” della DC, ma seppe guardare avanti, impegnandosi con Martinazzoli nel nuovo Partito Popolare. E guardando avanti, con la lungimiranza del politico di razza, decise di non aderire né alla Margherita né al Partito Democratico. Li votò abitualmente, come lui stesso era solito dichiarare con l’onestà che lo contraddistingueva, ma senza condividerne le ragioni fondative. Era a disagio nella Repubblica del maggioritario e del bipolarismo forzato. Soffriva il progressivo scadimento della rappresentanza parlamentare, frutto inesorabile della personalizzazione della politica, dei “partiti del capo”, dei “nominati” per cieca fedeltà.
Ci ha insegnato che il populismo è una mala bestia della politica, perché conduce inesorabilmente a destra: il che si è puntualmente verificato, prima con Berlusconi dopo Tangentopoli, poi con Salvini e ora con la Meloni dopo l’ubriacatura grillina. Si è sempre opposto a tentazioni presidenzialiste, e la sua autorevolezza sarebbe ancora servita nella prossima battaglia contro l’ennesima riproposizione del progetto di modifica della Costituzione. La sua ferma presa di posizione contro la riforma Renzi, allora Segretario PD, racconta più di mille parole la tempra dell’uomo, coerente sia nelle analisi sia nei comportamenti, e mai prono a convenienze di parte. Un autentico “libero e forte”.
Di quanto sia stato importante come uomo di partito, delfino di Donat-Cattin e poi vicesegretario di Zaccagnini, e come ministro dell’Industria e dell’Istruzione, lo racconteranno altri. Di lui vorrei sottolineare la squisita disponibilità a dialogare di politica e l’attenzione in particolare alla formazione dei più giovani. Sapeva coinvolgere e aveva la particolarità di non ritenersi indispensabile: caratteristica ormai introvabile nell’odierno teatrino della politica. Arrivato a 70 anni seppe dire basta e non si ricandidò al Parlamento europeo, dove si era distinto nel promuovere il progetto politico dell’Unione, soffocato da un visione tecnocratica ridotta agli aspetti mercantili e finanziari. Lasciò spazio ad altri più giovani e continuò a proporre cultura politica come Presidente dell’Associazione Popolari del Piemonte, parte di un progetto nazionale che altri avevano accantonato per opportunismo. E anche qui seminò e tenne le fila per una decina di anni, poi ritenne giusto dare fiducia e spazio a uno dei suoi allievi. Che oggi lo piange insieme agli amici Popolari del Piemonte, che perdono un saldo punto di riferimento.
Per chi dà valore alle coincidenze, nelle ore in cui Guido si spegneva, è andato in tilt il sito di “Rinascita popolare”, che per tanti anni ha diffuso le sue analisi politiche e che ha un patrimonio di suoi scritti che cercheremo di valorizzare. Ancora adesso siamo in emergenza e dobbiamo pubblicare gli articoli senza fotografie. Dopo tutto, di Guido ciascuno ha un proprio indelebile ricordo, e la sua forza è stata nella parola, nel confronto di idee, nella coerenza e nell’equilibrio dei giudizi.
Ciao Guido: ci lasci un esempio e tanti insegnamenti cui attingere. Per questo resterai vivo nei cuori e nelle menti dei tuoi amici.
Alessandro Risso