Insieme alla politica economica vi è un altro grande tema destinato ad alimentare il dibattito e ad incidere in modo decisivo sui futuri orientamenti elettorali: quello dello scontro tra la visione oligarchica della politica e la democrazia. Una questione che il virus ha presentato quasi in modo diretto, facendo cadere quel velo di pudore che ancora si frapponeva tra l’attuazione dei piani di questa élite che si sente padrona del mondo, e il rispetto formale delle istituzioni, delle regole e delle Costituzioni.

In un mondo in cui l’1% detiene una quota di ricchezza superiore a quella del restante 99%, l’alternativa è tra attuare misure che consentano una meno iniqua distribuzione della ricchezza, oppure cercare in ogni modo di mantenere lo status quo da parte di quella ristrettissima cerchia che ne trae i maggiori vantaggi attraverso la manipolazione dell’opinione pubblica, il controllo sociale, la paura. Fra questi due poli oscillano gli avvenimenti di questo primo quinto di secolo.

L’iniziale unipolarismo americano per tentare di salvare il quale fu usato il forte impatto emotivo suscitato dall’11 settembre 2001, è stato soppiantato velocemente dall’ascesa delle potenze vincenti della globalizzazione: la Germania e la Cina, agevolate da un partito trasversale fra Democratici e Repubblicani, determinato a svuotare il ruolo della superpotenza americana in favore di organizzazioni internazionali infiltrate, finanziate e eterodirette da una ristrettissima cerchia, una sorta di cupola del potere globale. La cui ambiziosa agenda orientata al governo mondiale, risulta radicalmente in contrasto con ogni umanesimo e incompatibile con la democrazia. In tale prospettiva, in previsione di una forte robotizzazione del lavoro, il popolo diventa superfluo, un costo da ridurre il più possibile, e un pericolo agli occhi dei super-ricchi da controllare, tracciare, monitorare attraverso le nuove tecnologie in un modo così totalitario che neanche la più fervida e geniale fantasia di Orwell avrebbe mai potuto immaginare, e a partire da quelle aree del pianeta, l’Occidente soprattutto, che vantano una maggiore tradizione di libertà e di riconoscimento di diritti sociali e civili. Il modello da imporre dappertutto, per costoro, è quello cinese: capitalismo disinvolto e regime totalitario, non importa se a partito unico o salvando l’apparenza di un multipartitismo controllato.

Di questa lotta per il potere globale – che registra nel 2020 una battaglia cruciale, le elezioni americane – noi abbiamo visto un risvolto inquietante nella vicenda del coronavirus. Un’emergenza impensabile nelle dimensioni a cui è giunta, senza il concorso dei media, del clima di allarmismo e di terrore che hanno generato, e delle mutevoli indicazioni date dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che hanno contribuito più a favorire la diffusione dei contagi che a contrastarli. Taiwan, che non può far parte dell’Oms, ha agito con risolutezza subito all’apparire della malattia, quando l’Oms minimizzava. Risultato: su 25 milioni di abitanti, ha avuto 439 casi di Covid19, di cui solo 6 mortali, pur essendo di fronte alla Cina da cui è partita l’epidemia.

In Italia invece si è passati dal “Milano non si ferma” al panico più totale, che ha portato a diagnosi sommarie, a un intasamento delle terapie intensive. In tal modo quella che altro non è che una brutta forma influenzale, e anche meno virulenta di altre manifestatesi in passato (i morti ufficialmente accertati dall’ISS per solo Covid19, senza altre gravi patologie, sono drasticamente bassi, nell’ordine delle centinaia di casi), si è trasformata in un incubo tale da giustificare la chiusura precauzionale del Paese. Dallo scorso marzo però molte cose sono cambiate. I medici impegnati in prima linea a contatto con i pazienti, non i sedicenti scienziati che affollano i programmi televisivi, hanno trovato delle terapie efficaci, e puntato sulla cura tempestiva a domicilio. E nel frattempo il virus si è indebolito e come i precedenti della stessa sua specie tende a scomparire.

Tuttavia, si assiste al permanere di misure eccezionali e inaudite (mascherine, distanziamenti, tracciamenti), la cui efficacia è contestata all’interno della stessa comunità scientifica, ma che permettono un controllo totale sulla popolazione, che può essere ottimizzato, come nella Cina comunista, da un uso totalitario delle tecnologie digitali e dalla precoce educazione al regime dei bambini a cui da settembre verranno imposti il distanziamento sociale e le mascherine nelle scuole.

E c’è chi è pronto sin d’ora a mettere la mano sul fuoco che il virus si ripresenterà in autunno, in modo da rendere permanenti le gravissime violazioni di diritti costituzionali a cui abbiamo assistito nei mesi scorsi e assecondare la potentissima lobby dei vaccini (anche mettendo al bando per tale scopo, come ha fatto la formidabile OMS, rimedi efficaci e poco costosi come la clorochina), non a beneficio della salute ma per il business e il controllo sulla popolazione da parte di pochissimi soggetti.

Se, sommariamente, questi sono i termini politici della questione virus, se ne deve concludere che dalla attuale emergenza sanitaria se ne esce innanzitutto per scelta politica, e non tecnica. E che quanto abbiamo vissuto e stiamo ancora sperimentando, ha molto più a che fare con una lotta per il potere mondiale, per l’affermazione di una nuova forma di totalitarismo, piuttosto che con un male terribile che non si riesce a debellare, quale non è il virus corona.

Sull’attacco al cuore della democrazia sferrato sotto il pretesto del virus cinese si sta consolidando tra i cittadini una sensibilità che sta spiazzando le forze politiche esistenti e che fungerà presumibilmente da spartiacque, insieme alle incandescenti questioni economiche e sociali, per le future scelte elettorali. Una cultura politica di popolo, legata intimamente ai valori della Costituzione, come quella popolare, non può, a mio giudizio farsi trovare impreparata nel confrontarsi con questa nuova domanda di democrazia e di nuovo umanesimo.

Giuseppe Davicino

Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione i Popolari del Piemonte ( CLICCA QUI )

Immagine utilizzata: Pixabay

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