Che la sovranità appartenga al popolo è detto direttamente dalla Costituzione.

Chi cercasse una formulazione letterale, altrettanto chiara, della centralità del Parlamento, perché ne ha sentito parlare e magari si è convinto della giustezza di questa collocazione, scorrerebbe invano tutti gli articoli della Costituzione. Ma, allo stesso tempo, sarebbe esonerato dalla fatica di ricorrere ad una di quelle costruzioni che i giuristi hanno elaborato per dare logicità ai sistemi normativi. Per dire, non avrebbe bisogno di chiedere l’ausilio di una”interpretazione originalista” della Costituzione che lo indirizzasse nella lettura degli atti dell’Assemblea Costituente alla ricerca dell’intenzione dei Costituenti, del significato delle parole utilizzate e del loro valore testimoniale delle sottostanti ispirazioni ideali, valoriali, sociali, giuridiche, in quel tempo.

In realtà, non c’è bisogno di nessuna ricerca ed è difficilmente contestabile il fatto che sovranità popolare e centralità del Parlamento siano entrambe al servizio della Nazione. Nonostante tentativi plurimi di contraddire la Costituzione, alcuni perpetrati in via di fatto (li ha ben descritti Mauro Zampini in una recente intervista a Radio Radicale) con una insopportabile manomissione del diritto consistita nel far credere al corpo elettorale che fermo l’attuale ordinamento si votasse per un Presidente del Consiglio, altri dotati di maggiore giuridicità, fatti approvare dal Parlamento ma respinti dal popolo con inequivocabile volontà referendaria.

Il Parlamento è l’espressione diretta della sovranità popolare. È l’unico organo permanente, nell’arco di una legislatura, che rappresenta la sovranità popolare. Ed invero, al pari della sovranità popolare che non cessa in nessun momento, per nessun motivo, di costituire l’elemento di legittimazione della democrazia secondo le regole della Costituzione, il Parlamento è riunito in permanenza.

Qualche tempo fa, per offrire una informazione a chi avesse voglia di affrancarsi dalle scuole oligopolistiche della dottrina costituzionalistica, una associazione intitolata alla sovranità popolare si dotò di un organo di direzione permanente, proprio nella considerazione che il popolo non cessasse mai dalle sue attribuzioni sovrane e dalle connesse responsabilità.

Se, poi, quel medesimo soggetto avesse voglia di un supplemento di ricerca, perché sicuramente è rimasto disorientato dalla polemica dei partiti su Parlamento chiuso-Parlamento aperto, corredata di reciproche accuse tutte autodeleggittimanti, potrebbe spingersi ad esaminare quale fosse alla fine degli anni ’90 la ricerca in Parlamento, più precisamente alla Camera dei Deputati, sulla mutazione del rapporto tra deputato e collegio elettorale (recte, elettorato del proprio collegio) dopo le modifiche in senso uninominale delle leggi elettorali. E troverebbe, antiche vestigia, oggi tramutatesi in seggiole (quelle della Sala del Mappamondo) di applicazioni elettroniche che contenevano l’applicazione del voto segreto da remoto. Era il tempo in cui Parlamenti superevoluti dichiaravano di essere rimasti indietro rispetto all’Italia (“we are behind” dissero).

Nessuno sospetterà di mie recondite intenzioni se, anche alla luce di queste brevi premesse, mi spingerò ad esprimere una ponderata perplessità su una ricostruzione fatta dal Prof. ZagrebelskY delle centralità istituzionali  da far funzionare in un periodo di grave emergenza, come è quello attuale. Sa il prof. Zagrebelsky della mia incondizionata ammirazione nei suoi confronti da quando gliela comunicai personalmente dopo che Maria Anonietta Biasella (già Capo del Cerimoniale della Corte Costituzionale) ci aveva messi in collegamento.

Ebbene, Il Prof. Zagrebelsky, in un articolo pubblicato sull’Espresso di questa settimana (articolo strutturato in una intervista allo stesso Zagrebelsky ed al Prof. Vineis, docente di epidemiologia ambientale all’Imperial College Londra), dopo aver liquidato “i pieni poteri” come risposta ad un’emergenza, ha concluso nei seguenti termini: “nei momenti eccezionali, i regimi democratici esaltano il ruolo del governo, ma contemporaneamente anche le responsabilità del Parlamento che deve controllarlo. È una cautela che le costituzioni democratiche si danno, stabilendo che per tutta la durata dell’emergenza il Parlamento è riunito in permanenza”.

Lungi da me ogni suggestione assemblearistica ed antigovernativa, per di più in piena emergenza sanitaria. Ma dare a vedere che il governo sia lo strumento elettivo di soccorso alle aspettative di intervento in ambito sanitario ed il Parlamento l’istituzione che controlla, mi pare insufficiente a dare soddisfazione delle aspettative democratiche della sovranità popolare. Davvero, mi pare lesivo della sovranità popolare lasciare in penombra la funzione di indirizzo politico che spetta al Parlamento. Poiché questo non è un saggio di diritto costituzionale, semplifico quello che voglio dire. Il governo non è la sede, nonostante gli sforzi di comunicazione approssimativa che gli uffici predispongono per il Presidente del Consiglio, nella quale si sviluppa per intero la rappresentanza politica popolare. È solo nella sede parlamentare, dove fra l’altro esiste un principio di contraddittorio necessario, quello tra maggioranza e opposizione, che debbono essere forniti al governo tutti i necessari indirizzi per rimontare l’emergenza sanitaria. Dico qui, tra parentesi, che la crisi del sistema sanitario nazionale, che qualcuno fa risalire erroneamente ai primi anni 80, quando il servizio sanitario nazionale si è costituito nel 78, deriva molto dall’assenza di un dibattito di indirizzo fatto alla luce del sole in Parlamento. Capisco che la funzione del controllo è rassicurante, ma è successiva. Io sostengo che la centralità del Parlamento è contemporanea  all’esercizio dei poteri di governo del paese. Sostengo che dopo anni di imprigionamento della funzione rappresentativa, operato anche attraverso l’espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e animato da partiti a loro volta poco rappresentativi (ciò che è dimostrato dalla partecipazione elettorale), al Parlamento, cioè alla sovranità popolare è stata sottratta del tutto la funzione di indirizzo. Prescindo, qui, da riferimenti tecnici sull’uso fatto delle mozioni e degli altri strumenti di controllo parlamentare, per richiamare l’attenzione su un punto: e cioè sul fatto che il Parlamento non concentra in sé il dibattito nazionale, pubblico e democratico, competente e mediativo, che deve tradursi nelle leggi che integrano l’interesse generale. Parafrasando Rosanvallon, a causa del declino dei partiti ( ma dice anche dei sindacati) l’espressione cittadino, io dico l’espressione popolo, appare singolarmente impoverita. La ritroviamo confinata in forme protestatarie e/o inutilmente consultata nei sondaggi o docile spettatore della comunicazione detenuta in poche mani pubbliche e private. Venti anni e più sono trascorsi senza che la centralità del Parlamento fosse rappresentata in Parlamento. È stata vilipesa, particolarmente dal crescente qualunquismo (non dimenticando, peraltro, i partiti che hanno immesso nelle aule parlamentari un personale politico del tutto incompetente) ed è stata svuotata. Al professor Vineis il quale annota nel medesimo articolo “oggi dobbiamo prevedere e prevenire, il che richiede una rete di organismi politici strettamente connessi a quelli scientifici ” dico che gli organismi scientifici non trovano più organismi politici capaci e rappresentativi.

Dice Vineis che le “decisioni impellenti di sanità pubblica devono essere indipendenti dagli interessi commerciali di questo o quel paese o di altre industrie”. Fa un’affermazione che tradotta in termini costituzionali significa che le decisioni di sanità pubblica devono corrispondere al bene comune, magari declinato in interesse generale. Questo non è ciò che fa il governo. Questo è ciò che deve fare il Parlamento, non solo controllando, ma prima ancora indirizzando il governo nella luce della trasparenza sola consentita dalle procedure costituzionali e  parlamentari.

Il governo ha nominato una ventina di saggi. Persone tutte di alto profilo manageriale o scientifico. Rispondono al governo, ovviamente. E il Parlamento come fa ad esprimersi sulla loro attività. Quale rivendicazione ha fatto del proprio ruolo di indirizzo. I partiti, i gruppi parlamentari, i Presidenti delle Camere si sono preoccupati di dare al Parlamento una dotazione di risorse di eguale valore (come è quella dell’ufficio parlamentare del bilancio) per costruire l’indirizzo politico necessario alla sanità dell’emergenza e alla sanità del dopo emergenza?

Non starò qui a riprodurre brani straordinari dei dibattiti parlamentari nel nostro Parlamento nazionale o nell’Assemblea nazionale francese per impressionarvi e portarvi a dire che c’è un passato parlamentare che è in sé centrale nello sviluppo delle democrazie. Ma chiedo, al professor Zagrebelsky: si può credere che il Parlamento sempre aperto (lui, lo definisce “riunito in permanenza”) possa essere limitato a svolgere un controllo, chissà quando?

La mia risposta è no. L’emergenza salute, questa pandemia orrenda e dolorosissima, che sviluppa nel mondo effetti che riguardano perfino la definizione “per decisione” della durata della vita dell’uomo, sia il detonatore per restituire alla sovranità popolare lo strumento della centralità del Parlamento. I partiti, la classe politica incapace di questo risultato siano rapidamente sostituiti.

Alessandro Diotallevi

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