Il 17 aprile us la BCE nella persona della Presidente C. Lagarde, ha annunciato una riduzione dei tassi di interesse portandoli da 2,50% a 2,25%. E’ la settima riduzione del costo del denaro, presa dal Consiglio della BCE all’unanimità. In data 5 giugno la BCE ha ridotto ancora i tassi di interesse di un ulteriore 0,25%, portandoli da 2,25% al 2%.

Dal 5 giugno i tassi di interesse saranno così divisi:

  • sui depositi BCE passa dal 2,25% al 2,00%;
  • sulle principali operazioni di rifinanziamento passerà dal 2,40% al 2,15%. Tale tasso riguarda la somma che viene versata, quale prezzo da pagare, dalle Banche private” sui finanziamenti, aventi natura di prestiti, della BCE aventi durata di una settimana;
  • sui finanziamenti riguardanti prestiti marginali, detti anche prestiti “overnight”, passerà dal 2.65% al 2,40%. Tale tasso viene applicato per i prestiti di una giornata e cioè che partono dalla giornata dell’operazione con estinzione del finanziamento nella giornata successiva. Con tale tasso la BCE orienta la propria “politica monetaria”.

Al netto della problematica dei dazi doganali, che ha ed avrà sicuramente influenza sulle variazioni del futuro tasso di inflazione e sulla crescita, l’inflazione allo stato attuale si stabilizzerebbe e sistemerebbe al 2% a medio termine, e quindi è prevista del 2% nel 2025, 1,6% nel 2026 e 2% nel 2027.

La previsione dell’inflazione di fondo (core inflation), inflazione avulsa e/o staccata dalla componente energetica e alimentare, sarebbe del 2,4% nel 2025 e 1,9% nel 2026-2027.

La crescita del PIL invece, come sopra detto influenzabile dalle conclusioni o meno della trattativa USA-UE sui dazi doganali, in termini reali si porterebbe allo 0,9% nel 2025, 1,1% nel 2026 e 1,3% nel 2027. Tale crescita del PIL in caso di riduzione degli investimenti e delle esportazioni, frenate queste ultime dall’aumento dei dazi doganali (entità dell’aumento tuttora in trattativa a seguito della sospensione dell’applicazione della decisione di aumento delle tariffe USA del 02 aprile 2025 – “Liberation Day tariffs”), sarebbe comunque garantita dagli investimenti pubblici in difesa e infrastrutture.

Per evitare l’aumento dell’indebitamento secco pubblico (senza il return finanziario compensativo) sarebbe invece opportuno che l’ottenimento della crescita del PIL fosse raggiunto attraverso l’’incremento del cosiddetto debito buono, cioè debito pubblico formato da investimenti pubblici tesi a garantire un incremento della produttività sociale tale da permettere le conseguenti ricadute verso un miglioramento del benessere collettivo e/o del Bene Comune e tale da assicurare parallelamente un return finanziario in termini di maggiori entrate tributarie.

Dazi doganali

Dall’ Osservatorio dei CPI del 05 luglio 2025: “Finora la guerra commerciale iniziata da Donald Trump ha avuto un unico effetto certo: la crescita dell’incertezza su scala globale. Secondo molti analisti, l’ispiratore di questo “nuovo disordine internazionale” sarebbe Stephen Miran, capo del Council of Economic Advisers. Miran ritiene che la causa del deficit commerciale USA sia l’afflusso netto di capitali che apprezza il dollaro e che riduce quindi la competitività delle merci statunitensi. Gran parte del risparmio internazionale si riversa infatti sugli asset USA percepiti come safe assets per il ruolo di moneta di riserva internazionale (MRI) del dollaro. Secondo Miran, per ridurre il deficit commerciale occorrerebbe, insieme all’introduzione graduale dei dazi, un deprezzamento sostanzioso del dollaro, mantenendo però il ruolo di MRI di quest’ultimo. Tale deprezzamento dovrebbe riflettere un intervento coordinato delle Banche Centrali e/o dei Governi,……………omissis…………..Un deprezzamento sostanzioso del dollaro accentuerebbe gli effetti inflazionistici (per gli USA) dell’imposizione dei dazi e potrebbe render meno attraenti i titoli USA, spingendo verso l’alto i rendimenti di questi ultimi, con conseguente aumento dell’onere del debito pubblico. Ma l’anello debole della proposta è legato al ruolo del dollaro: da un lato si vorrebbe un dollaro debole per eliminare gli squilibri commerciali, dall’altro si vorrebbe mantenere il suo status di valuta di riserva; due condizioni difficilmente conciliabili. Miran sembra consapevole del “sentiero stretto” su cui l’amministrazione Trump si deve muovere per conseguire i suoi obiettivi, ma il resto dell’amministrazione Trump potrebbe non avere contezza di questo dilemma.” (Domenico Delli Gatti, Marco Lossani – Capire la guerra (dei dazi): Trump e il suo stratega Miran – Osservatorio CPI del 05 luglio 2025).

Da quanto sopra si capisce chiaramente il perché gli USA hanno iniziato la guerra commerciale attraverso la politica dell’aumento dei dazi doganali per tutti i beni e servizi importati dagli USA su esportazione dagli Stati esteri e in particolar modo: dalla Cina, dall’ Europa, dall’UK, dal Canada, dall’india ecc…  Il tutto e avvenuto il 2 aprile 2025, chiamato “Liberation Day tariffs”, giorno in cui il presidente Trump ha presentato un vasto e ampio elenco o pacchetto di dazi all’importazione.

L’andamento della situazione dei “dazi doganali”, per continui mutamenti sulla loro gestione da parte degli USA (vedi atteggiamenti del presidente Trump), porta, per le ripetute negoziazioni e stancanti trattative, a continue modifiche. Il problema è dato dalla volatilità della certezza delle trattative in via diretta per il nostro Paese e per l’Europa e in via indiretta per il rapporto che andrà a formarsi negli scambi commerciali con i Paesi diversi dagli USA.

Come verrebbero influenzate le esportazioni italiane a seguito dell’aumento dei dazi doganali? A seguito di questo aumento le esportazioni italiane (attualmente di 67 miliardi di euro) potrebbero subire una significativa riduzione e soprattutto nel settore dei macchinari, articoli farmaceutici e mezzi di trasporto.

A seguito della concessione della tregua sui dazi reciproci concessa dal presidente Trump, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, previo assenso di Trump, aveva dichiarato che “L’Europa era pronta a far avanzare i colloqui con rapidità e decisione. Per raggiungere un buon accordo avremmo bisogno di tempo fino al 9 luglio”.

All’indomani dell’assenso dato alla Presidente Von Der Leyen sulla definizione dell’intero pacchetto dei dazi reciproci, accettando così, per la definizione della trattativa, il termine del 09 luglio, il presidente Trump ha detto che lo spostamento al 9 luglio riguardava l’introduzione al 50% sulle importazioni europee che qualche giorno prima aveva detto dovessero scattare il1° giugno. (Prima ora – Corriere della Sera del 26/05/2025).

Chiara è la confusione generale dovuta al continuo cambiamento delle condizioni delle trattative sulle tariffe dei dazi riguardanti le importazioni dei beni dall’Europa e sulla nuova condizione relativa alle tariffe non identiche nelle percentuali, ma asimmetriche, sulle importazioni dei Paesi dell’Eurozona dei beni e servizi provenienti dagli USA.

Sulla volatilità di tale forma di negoziato, a seguito della sottesa protesta di alcuni ministri delle finanze dell’UE, si è alzata la voce del Vicecancelliere e Ministro delle finanze della Germania Klingbeil, il quale ha dichiarato che servono colloqui e negoziati seri, al fine di evitare danni sia all’economia americana e sia a quella europea. Sarà, attraverso una trattativa seria e conclusiva, la data del 09 luglio definitiva ai fini della conclusione del negoziato USA – Europa sulla determinazione dei dazi reciproci, oppure ci sarà una sospensione del termine del 09/07 attraverso un accordo provvisorio?

Sulla possibilità della sospensione del termine c’è stata una lettera del presidente Trump inviata alla Commissione Europea di Bruxelles, in cui è stato detto che la data fissata del 09/07 non era “ultimativa” e quindi presupponeva la possibilità di una proroga del termine, con un accordo provvisorio tra le controparti!

Dalla minaccia della Casa Bianca del 05 luglio relativa alla possibilità di applicare dazi con il 17% sui prodotti alimentari provenienti dall’UE in caso di mancato accordo sul pacchetto dei dazi, non si evince la possibilità che ci possa essere un accordo provvisorio. Sono queste contraddizioni e cambiamenti che creano ulteriore confusione e disorientamento nella trattativa. Inoltre, gli Usa chiedono l’applicazione di dazi asimmetrici: cioè più alti nell’import in USA e più bassi nell’export!

Quali sono i dazi che dovranno essere applicati e su quali beni e servizi? L’Europa propone un dazio lineare del 10%, per gli Usa tale soglia potrebbe andare bene ma dovrà essere “asimmetrica” e cioè l’Europa dovrebbe applicare alle importazioni dagli USA una percentuale inferiore a quella che gli Usa applicano alle esportazioni europee. Inoltre l’UE non dovrebbe toccare il settore dei servizi molto favorevole agli americani.

All’avvicinarsi della scadenza del 09 luglio, il presidente Trump ha fatto sapere che ieri sarebbero partite 12 lettere indirizzate ad altrettanti  paesi che sapranno l’entità dei dazi che l’Amministrazione americana intende applicare alle esportazioni negli Stati Uniti. I dazi cosi fissati avranno validità a partire dal 1° agosto.

Attualmente i dazi già in vigore verso UE sono i seguenti:
Settore dell’auto acciaio e alluminio 50%; Auto e componenti: 25%.

Di queste tariffe l’UE intende trattare per abbassarle e per concordare sulla concessione del 10% chiede inoltre l’esenzione per il settore farmaceutico.  Circa la conclusione della trattativa si prevede che l’intesa non sarà raggiunta entro mercoledì 09/07 e in questo caso ci sarà un rinvio con scadenza il 1°agosto.

Inutile dire che tali misure potranno creare crescita dei prezzi e quindi inflazione, con l’eventuale pericolo di stagnazione per rischio stagflazione e/o anche crisi con effetti deflattivi dell’economia.

Antonio Mascolo

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