Immaginiamo un volo pindarico, indietro nel tempo, al vecchio abbecedario: a, b, c come politica, partiti, istituzioni pubbliche. Concetti elementari che, tuttavia, non mi risulta retorico, né inutile ribadire o chiarire.
“Lavoravi a Palazzo Chigi? Allora sei un politico”, mi dicono spesso. Ed io rispondo: “macché, un burocrate al servizio dei politici di turno al Palazzo (non di rado si confonde Palazzo Chigi con Palazzo Madama e Montecitorio). Evidentemente, il “primato della politica” descritto sapientemente ne “Il principe”, saggio postumo di Nicolò Machiavelli, è un principio tanto radicato nella nostra società, nella forma mentis così che il pensiero fisso va alla politica, onnipresente e multifunzionale come una sorta di jolly flessibile e adotto ad ogni stagione, a noi “vicino”, come ci ripetono le autorità politiche dopo ogni terremoto o alluvione; oppure, d’altro canto, un male necessario e inevitabile, cui delegare le nostre speranze ed aspettative (spesso negate, da cui il forte astensionismo elettorale).
Sia dall’esperienza professionale, avendo collaborato direttamente con 5 esecutivi (25 ne ho visti passare dal Palazzo), sia nei dialoghi occasionali o da osservazioni ricevute da parte dei miei lettori, ho potuto constatare questa confusione, diffusa e generalizzata, senza distinzione di grado d’istruzione o regione di appartenenza, come il gioco delle tre carte in cui si sbanda facilmente dalla politica ai partiti, enti sovrani ma evanescenti, alle istituzioni repubblicane cui si tende ad escludere tanto l’autorità necessaria, quanto l’autorevolezza e la competenza. Detta commistione affonda le sue radici nel pensiero qualunquista per cui lo Stato non siamo tutti noi, ma sarebbe un qualcosa di astratto e perciò di nessuno; e dall’insegnamento scolastico, davvero carente, mentre si nutre del comportamento politico di tanti funzionari di enti locali, regionali e ministeriali, ovvero di decisioni discutibili della magistratura, specialmente quando tende ad invadere il campo della politica.
A proposito di vicende giudiziarie, il ministro del turismo – anche operatore turistico da sempre! – è sottoposto ad alcuni processi a vario titolo, ma da diversi mesi ripete spavaldamente che non ha alcuna intenzione di dimettersi ed il Presidente del consiglio non ha il potere di revocarla sulla base di quanto disciplinato dalla legge n. 400/88. Orbene, il potere politico non si autotutela da ben 47 anni e non è capace di colmare questo vulnus cui è necessario provvedere onde liberarci di autorità governative impresentabili e/o indecorose che violano il giuramento fatto davanti al Presidente della Repubblica, di cui all’articolo 54 della Costituzione. (Forse la riforma sul “premierato” è la più necessaria).
Altro aspetto, ovviamente negativo, è quel residuo di clientelismo, oggi addirittura familismo, ereditato dalla I Repubblica, cui si aggiunge il lobbismo occulto e corruttore che opera, alquanto liberamente, ai vari livelli decisionali: il tutto contribuisce a confondere le idee del cittadino. Sarebbe necessario seguire l’esortazione di Benigni a conoscere al carta costituzionale, definita “la più bella del mondo”, a cominciare dall’articolo 49 che dispone in merito al diritto di partecipare all’attività politica della nazione “con metodo democratico”. Ciò significa che i partiti non la fanno da padroni, bensì che la Repubblica come sistema organizzativo e ordinamentale va considerata come la casa comune, in cui ognuno di noi deve rispettare le regole e partecipare per il bene e il progresso socioeconomico.
Dimenticavo a proposito delle regole, quelle del “drafting” che l’apparato legislativo s’è date dagli anni ’90 per ottenere un testo normativo chiaro ed essenziale. Invece, abbiamo mostri illeggibili come il decreto legge sul pubblico impiego, attualmente in sede di conversione, che conta addirittura 255 richiami e riferimenti a leggi pregresse. Anche i colleghi tecnico legislativi danno una mano ad aumentare la confusione nella fase attuativa e interpretativa della legge.
Ultima considerazione: fino a “tangentopoli” con i partiti cosiddetti storici l’attività politica era nettamente disgiunta rispetto a quella istituzionale, tant’è che ricordo bene come De Mita si dimise da Segretario della D. C. il giorno prima di salire al Quirinale per ricevere l’incarico di presidente del Consiglio dei ministri. Oggi, al contrario, i tre leader dei partiti di maggioranza si tengono ben saldi sia questo incarico di partito che quello o quelli di governo. Che dire? Questione di stile e di etica, che non essendoci o scarseggiando, danno un altro contributo alla confusione dei ruoli e delle relative responsabilità.
Del resto, si dice che la politica è potere e non esattamente quello che significava all’epoca della democrazia ateniese. E comunque, Machiavelli affermava : “è necessaria la salvezza dello Stato”! Sante parole …
Michele Marino