Si potrebbe dire che, rispetto a Trump che stoppa i finanziamenti all’OMS, il corona virus ci stia suggerendo, con la sua devastante capacità di uccidete, indirizzi e comportamenti di maggiore saggezza.
Forse si tratta di un pensiero ingenuo. Eppure oltre a chiederci quali siano fin d’ora e quali poi si mostreranno a lungo termine gli effetti del virus, dovremmo da subito trarne qualche indirizzo. Almeno, laddove la sua lezione è fin d’ora chiara e fuori discussione. Ad esempio, in ordine al fatto che salute e malattia siano condizioni, le quali, accanto a fattori determinanti pur sempre di carattere locale, ne contemplano altri di ordine così spiccatamente “planetario” da suggerire la necessità – più che di un coordinamento volontario, sia pure rafforzato, sotto l’egida delle Nazioni Unite, come avviene con l’ OMS – di un vero e proprio “governo mondiale” delle politiche sanitarie, se mai fosse possibile.
Non si tratta solo di essere pronti per l’eventuale prossima pandemia che, più o meno probabile che sia, va comunque, almeno prudenzialmente, messa nel conto. L’ambiente, l’energia, anzitutto, sono tematiche altrettanto globali e strettamente connesse al tema della salute, da esigere, a loro volta, l’impegno di strategie talmente integrate da non poter prescindere da una dimensione planetaria.
E poiché si è sperimentata, su più fronti, una inedita alleanza tra istituzioni e scienziati, perché non immaginiamo di svilupparla – almeno sul piano di un metodo d’ azione fin dove possibile analogo – applicando anche alle urgenze del momento politico, alcuni criteri propri dell’impresa scientifica? La scienza non si inventa nulla. Prende umilmente le mosse da una osservazione attenta della realtà. Intuisce e ne desume induttivamente ipotesi che vengono sottoposte a verifica sperimentale. Non procede a priori e deduttivamente da assiomi inamovibili ed astratti, anzi si pone come un sistema aperto che costantemente li riformula, li integra e li arricchisce , cosicché la conoscenza sul piano dei contenuti via via progressivamente acquisiti, procede in parallelo allo sviluppo della scienza sul piano epistemologico e di metodo.
Insomma la scienza – che pur può, in certi momenti storici e succede anche oggi, chiudersi in schemi preconcetti – ha in sé gli strumenti concettuali ed operativi necessari per tenersi lontana da ogni tentazione ideologica, senza scadere, nel contempo, sul piano di un banale empirismo. Per contro, per quanto sia utopistica ogni fuga in avanti verso vaghi ed astratti progetti di “governo mondiale”, e’ difficile sottrarsi alla suggestione che, in qualche modo, il tema ormai si ponga non più sul piano di generiche aspirazioni o di teoriche esercitazioni dottrinali, più o meno accademiche, bensì sia del tutto prossimo ad essere ammesso, con tutte le cautele del caso, eppure a pieno titolo, nelle agende politiche ai più alti livelli.
E’ difficile immaginare una elaborazione dottrinale da cui dedurre criteri ed indirizzi operativi che vadano in tale direzione, immaginando di calare dall’alto un qualche disegno istituzionale preformato di una portata francamente impossibile. Ma forse si può procedere o almeno provarci per approcci parziali e subentranti, lasciando crescere dal basso ed implementando via via un disegno che necessariamente si fa sul campo, nel vivo del processo storico, rispondendo – come nel nostro caso della pandemia – alle provocazioni ed alle domande che la storia stessa ci sottopone, quindi avanzando sperimentalmente, come fa la scienza.
Oggi siamo sfidati sul piano della salute che presenta alcuni caratteri che sembrano adatti a costruire, su questo terreno prima che altrove, una prima embrionale intelaiatura che vincoli istituzionalmente tutti i Paesi al l’osservanza di parametri, procedure, investimenti e politiche effettivamente comuni ed anche di mutuo soccorso ove necessario, che superino quel tanto di aleatorietà che qualunque convenzione su base volontaria non riesce ad espungere del tutto dal sistema.
In fondo, è quello che lamenta Trump, per quanto ne tragga una conclusione errata. Sicuramente questo è un discorso ingenuo, che se non appartiene alla categoria delle utopie, perlomeno la lambisce, eppure il campo delle politiche sanitarie presenta una condizione di vantaggio di cui, forse, nessun altro ambito dispone. In sostanza, anche il campo della salute mostra situazioni assai differenziate, addirittura antitetiche sul piano geo- politico in molte parti del mondo; così come non e’ certo alieno dallo scontro tra imponenti interessi economici che lo attraversano da cima a fondo, eppure contempla un fattore sovraordinato ed inaggirabile che può, meno difficilmente che in altri contesti tematici, rappresentare un invincibile attrattore attorno al quale organizzare davvero un prevalente interesse generale, una obbligata strategia di “bene comune”.
Si tratta, cioè, della difesa del bene primario della vita che conviene a tutti ed a ciascuno, non in senso più o meno lato, ma strettamente “ad personam” per ognuno, come dimostra il virus che, almeno fin qui, attacca più violentemente i Paesi più’ sviluppati piuttosto che le aree più’ povere del pianeta. Insomma, non guarda in faccia a nessuno e la paura fa novanta anche per chi sta in cima alla scala sociale. Insomma, se non vogliamo incupirci troppo, è “‘a livella”, direbbe il Principe De Curtis oppure, detto altrimenti che si capisce anche al Nord, “o la borsa o la vita”.
In definitiva, forse conviene, anziché affondare l’OMS, come vorrebbe Trump, partire da lì, dove c’è comunque una esperienza ed una competenza consolidate e lavorarci su, per capire fin dove possiamo spingerci per costruire una prima sperimentale scheggia di una qualche governabilità planetaria; insomma, ne più, ne meno della pandemia, se vogliamo, oggi e domani, reggere il confronto.
Domenico Galbiati
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