Nella Dichiarazione di cooperazione sottoscritta il 20 novembre 2024 da PPE, Socialisti e Democratici e liberali di Renew Europe in sostegno della Commissione Von der Leyen, si è messo per scritto, in vista della nuova legislatura parlamentare europea, l’impegno a rispettare alcuni valori condivisi. Che in sostanza sono qui sintetizzati in tre opzioni considerate “aspetti centrali della nostra cooperazione: “ stato di diritto, posizione pro-Ucraina ed approccio pro- europeo” (“ rule of law, a pro-Ukraine stand and a pro European approach”, p. 1 del Documento). Opzioni essenziali e importanti, certamente. Non può però sfuggire che manca un impegno esplicito alla cooperazione nella tutela di un valore, forse il più importante, quello della “pace” alla quale non si fanno neppure riferimenti impliciti. E’ vero che c’è un riferimento all’articolo 2 del Trattato e alla Carta dei diritti fondamentali. Purtroppo né l’uno né l’altro contengono cenni alla pace intesa come bene da “promuovere”, come risulta invece nell’art. 3 TUE, qui per la verità mai citato. Solo una svista? Probabilmente no. Ovviamente più che legittimo difendere l’ Ucraina, come magari difendere anche Israele. senza dover necessariamente promuovere la pace, specie quando il nemico non sembra demordere. Legittimo , ma non inevitabile. Proprio noi in Europa però abbiamo vissuto una esperienza opposta. Basterebbe rileggersi le lettere dei condannati a morte della Resistenza europea ed italiana.
Nella Resistenza ai nazifascisti, i cittadini comuni, che spesso nessuna legge obbligava a combattere, scelsero liberamente di impugnare le armi per la difesa della pace, oltre che della dignità. Ancor prima gli uomini che scrissero il Manifesto di Ventotene, nel pieno della guerra, nel 1941, immaginarono le modalità per costruire la pace e una pace vera e duratura, non appena cessato il conflitto. La conquista della pace , potremmo dire, era, per gli uni e per gli altri, l’ elemento legittimante della guerra contro il nazifascismo. Non la difesa dei confini, del territorio, dell’identità o dell’etnia e nemmeno la difesa della propria religione e della propria libertà di coscienza. Solo l’ obiettivo della pace consentiva di accettare il sacrificio della vita.
Viene spontaneo allora chiedersi perché il riferimento non si sia inserito in Dichiarazione, tanto più in un momento così drammatico e inquietante come quello che si va delineando per gli esiti possibili della guerra di Ucraina. Qualunque sia il motivo per cui il tema pace non è stato inserito, c’è tuttavia una domanda preliminare ancora più urgente e più importante : ma davvero è questa l’ Europa? Questa l’Europa pensata dai padri fondatori? Non una comunità di popoli ed un Unione di Stati, ma una semplice Lega militare tra Stati e Governi?
Abbiamo dimenticato che la costruzione europea è nata proprio per costruire la pace, non per favorire o per auspicare la pace, considerata come una opportunità positiva, dipendente però solo dalla condizioni oggettive delle relazioni internazionali, su cui non è facile influire. Siamo “infettati” ormai da una rigida “logica” di guerra, da una logica potremmo dire algoritmica, fuori del controllo umano. Una “logica” intimamente contraddittoria, di cui non si accorgono coloro che in nome di un presunto “realismo” pensano che nella storia agisca e domini sempre e soltanto la forza bruta, che vincano sempre e soltanto le “arti del leone della golpe”, per dirla con quanto afferma Il Principe di Machiavelli ( non il Machiavelli dei Discorsi) o che conti solo il numero delle “divisioni militari” secondo la nota ed invece un po’ rozza affermazione di Stalin ( “Quante divisioni ha il Papa?).
Una logica come quella descritta da Mauro Magatti, sulla base di una riflessione del filosofo Henri Bergson che nel 1914 aveva scritto ; «Cosa sarebbe una società che obbedisse automaticamente a una parola d’ordine trasmessa meccanicamente, che regolasse su di essa la sua scienza e la sua coscienza, e che avesse perduto, con il senso della giustizia, la nozione di verità? Cosa sarebbe un’umanità in cui la forza brutale prendesse il posto della forza morale?”
Magatti aggiunge che “ il circuito della violenza – quello che risponde colpo su colpo, che restituisce la ferita subita con un attacco ancora più violento – segue la logica dell’automatismo. Una volta innescato, tale circuito non si ferma più. Se non – come tanti analisti cinicamente vanno affermando – con la “vittoria finale”, descritto come l’unica possibile via d’uscita ( Mauro Magatti, Avvenire, 21 settembre 2024).
Ma siamo davvero destinati ad una guerra globale e permanente, dato che ormai in Europa è finita la pace? Non ci resta altro da fare che prepararci alla guerra? Purtroppo la Dichiarazione europea fa proprio pensare a questo.
Umberto Baldocchi