Quali sono le conseguenze di una politica trentennale basata sul personalismo, sulla banalizzazione dei contenuti, ridotta a slogan e battute  tra “leader”,  senza più un legame ed un confronto con i corpi intermedi?  Che esiti ha prodotto l’impreparazione sistematica di molta parte dei cosiddetti “politici di professione” (o meglio senza professione) che ha sostituito il “cursus honorum” per arrivare in parlamento, con i nominati?

Cosa ha prodotto l’applicazione di uno “spoil sistem” indipendente dal merito, indifferente alla complessità dei problemi, che fa fuori dirigenti capaci per sostituirli con i propri “cooptati”?

Bisognerebbe chiederselo, se non altro visti gli esiti tragici (in termini di numeri di morti assoluti e relativi rispetto alla popolazione) della pandemia che ha colpito il nostro Paese.

Si continua invece  con le risse e le baruffe,  chiozzotte tra governo, regioni ed esperti di ogni genere. Le cause della gravità della pandemia sono molteplici e complesse, ma non si può ignorare che fra queste vi sia il degrado della sanità in Italia negli ultimi 10 anni,  dovuto a questa concezione mediatica, superficiale ma sempre più invasiva della politica.

Ricordiamoci solo alcuni dati.

C’è stato nell’ultimo decennio un progressivo taglio “orizzontale” della spesa sanitaria,  senza alcun orientamento al mantenimento della  qualità del servizio. La spesa pubblica per la sanità in termini reali è diminuita, tra il 2010  e il 2016,  del 9%.

Secondo i dati del prof. Campiglio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, si sono ignorati i cambiamenti demografici, socio economici, etnici, epidemiologici della popolazione,  che fino a prova contraria dovrebbero orientare le decisioni  della cura.

Sono via via sparite dalla scena pubblica le grandi concezioni, anche contrapposte, sul concetto di salute e malattia,  che sole possono determinare la costruzione di sistemi sanitari coerenti, efficaci, efficienti ed adeguati ai cambiamenti in atto della popolazione.

Fino a 10 anni fa, nel nostro Paese convivevano a pieno titolo,  la sanità “sussidiaria” lombarda basata sulla libertà di scelta e sulla valorizzazione congiunta di pubblico e privato, ed un modello più centralistico e statalista dei Balduzzi e delle Bindi, attuato in Toscana e Emilia,  del tutto diversi ma capaci di raggiungere ottimi risultati.

Negli ultimi anni si è assistito invece ad un continuo “ping pong”  tra Regioni (alcune delle  quali totalmente incapaci di gestione) e Stato centrale, incapaci complessivamente di programmare e controllare,  ma soprattutto lontani dalla realtà sanitaria.

Il primo segno di questo degrado, è stato l’abbandono della valutazione della qualità delle cure (ex ante ed ex post) che dovrebbe essere insieme un obiettivo fondamentale ed un criterio per guidare le scelte nazionali, regionali, locali.

Si è preclusa la possibilità di formare medici ed infermieri necessari per sostenere un sistema sanitario nazionale e regionale. Come è stato rilevato in precedenti articoli sullo stesso Sussidiario, non si è provveduto a preparare un piano contro le pandemie e gli eventi eccezionali e catastrofici che impattano sulla salute dei cittadini.

Non che la politica sia sparita, anzi.

Il dibattito sulla sanità è diventato centrale negli schieramenti: per attaccare la sanità laddove chi la governa è dello schieramento opposto, e difenderla quando il governo regionale è “amico”.

Per non parlare della “selezione” dei  dei tecnici e manager per la guida delle strutture sanitarie:

frequenti e isterici “spoil sistem” non legate alla professionalità,  per promuovere incompetenti della propria parte o nella migliore delle ipotesi persone scelte senza verificarne a fondo i requisiti.

Così abbiamo avuto “bancari” e “commercianti” trasformati in Direttori di Aziende sanitarie, supportati da una legislazione che attribuisce loro “pieni poteri”, persino rendendo inutili riti i concorsi pubblici ( nel più grande ospedale del mondo (Mayo Clinic USA) non si accede alla Direzione di strutture sanitarie senza anche la laurea in Medicina).

Ciò sta determinando una mortificazione della professionalità, capacità e dedizione del personale sanitario che, in questo anno drammatico di Covid 19,  ha consentito in gran parte di limitare gli effetti della pandemia, affrontando spesso con armi “spuntate” l’emergenza .

Per questo per pensare la sanità del prossimo futuro occorre ripartire dal basso,  da questi operatori , da una discussione libera, sussidiaria non ideologica, che prima di cercare risposte metta in luce le domande e le necessità che la situazione attuale richiede. Nessuna preclusione a priori ad un  dialogo con la politica,  che nell’approccio manicheo e giacobino di questi anni ha fatto tanto male. Ma i politici devono innanzitutto immergersi in questo dibattito, ascoltare e interloquire con tutti,  non solo con gli esperti della loro parte. Niente è più dannoso di risposte concepite a tavolino a problemi che non si conoscono.

Felice Achilli –  Presidente di Medicina e Persona

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