Stiamo per avvicinarci al momento della verità. Con l’entrata nella fase cruciale che ci dirà se Giorgia Meloni, da noi definita la don Ferrante dei Promessi sposi, quello che negava l’esistenza della peste (CLICCA QUI), crede davvero  che la battaglia dei dazi scatenata da Donald Trump non debba preoccuparci e se tenga la schiena dritta o, smessi i panni dello scettico personaggio manzoniano, non finisca addirittura per trasformarsi in un altra figura del celebre racconto: don Abbondio.

Che non ci si debba preoccupare è tornato a ripeterlo pure due giorni fa a Cernobbio il Ministro del tesoro Giancarlo Giorgetti. E proprio davanti a quelli che, invece, si mostrano tra i più preoccupati da quanto sta sconvolgendo un mondo di cui sono state bruciate, nel giro di 48 ore, decine di migliaia di miliardi di dollari in tutte le borse, nessuna esclusa.

Anche oggi le borse hanno aperto in profondo rosso. A conferma che il piano di Trump è considerato una sciagura a livello mondiale. Cioè, l’intenzione di creare una recessione pilotata il cui fine ultimo è l’abbassamento dei tassi e, come in parte sta già accadendo, aiuti una qualche fuga dalle Borse per la ricerca da parte dei risparmiatori di un rifugio più sicuro nei titoli di stato americani. Entrami gli obiettivi servono al reperimento delle risorse necessarie al mantenimento della promessa elettorale di abbassare le tasse degli americani.

In Italia, intanto,  la questione dei dazi di Trump è venuta intrecciandosi con la competizione lanciata in maniera plateale, e con esplicita sfida, a Giorgia Meloni, da parte di Matteo Salvini. Il quale prova a farsi forte di un più stretto rapporto privilegiato con Trump, Vance e Musk, dai cui cuori prova a scacciare la Presidente del Consiglio.

Perché i dazi non costituiscono soprattutto un problema economico, bensì politico. È questo sembra averlo capito più Salvini che la Meloni. Forte di ciò, Salvini alza sempre più la posta giungendo ad organizzare la richiesta “dal basso” della Lega affinché egli torni a fare il Ministro degli Interni. Al Viminale, Salvini vuol tornare per dare corso ad un permanente conflitto con Bruxelles. L’estensione della sua vocazione a fare anche il Ministro degli esteri troverebbe facile sponda in una possibile azione combinata con Orban e con la Le Pen.

Alla decisione salviniana di fare la testa di ponte in Italia e in Europa dell’Amministrazione Trump, corrisponde una mancanza di chiara ed esplicita scelta da parte di Giorgia Meloni, certamente più condizionata da Bruxelles. E, così, Salvini gira con maggiore determinazione il coltello nella piaga paventando addirittura la possibilità che egli torni ad essere il faro guida della coalizione di destra. Ovviamente, contando sul sostegno esplicito di Oltreatlantico.

Ecco perché Giorgia Meloni  cerca freneticamente di correre ai ripari. Se prima puntava sull’incontro con il Vicepresidente americano Vance, atteso a Roma per la Pasqua, oggi viene raccontata impegnata allo spasimo per farsi ricevere il prima possibile direttamente da Donald Trump, già la prossima settimana. Ha bisogno di ottenere qualcosa subito. Perché, altrimenti, il suo attivismo a poco potrebbe servire  se dovessero arrivare nel frattempo le contromisure europee che, da quel che si capisce e viene detto, mentre ufficialmente si parla di disponibilità alla trattativa, sarebbero dirette a colpire in particolare il sistema finanziario americano per provare a smontare, almeno in parte il disegno del Presidente americano che quell’ambito soprattutto interessa. E questo mentre la Cina ha già risposto colpendo sui beni di largo consumo.

Un complesso gioco, insomma, che deve fare i conti, però, con quanto sta avvenendo negli Stati Uniti tra la gente comune, ieri 1200 tra città e cittadine hanno visto in piazza folle enormi di contestatori come mai accaduto negli ultimi anni, e nelle stesse fila repubblicane. Con le voci sempre più diffuse, ed ancora non smentite, sulla possibilità che il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, si dimetta in disaccordo con Trump.

A Bessent non sfuggono, infatti, i contraccolpo in casa dove si è scatenata una vera e propria corsa all’accaparramento di beni di largo consumo. In particolare, quelli provenienti dall’estero, i cui prezzi si teme possano finire alle stelle. E questo significa una sicura ed ulteriore spinta alla tendenza inflattiva, che già in questi primi mesi di Amministrazione Trump, non solo non è stata fermata, ma sembra oramai viaggiare a ruota libera. Al tempo stesso, i giornali statunitensi sono pieni di articoli sull’indecisione di molti consumatori se sia il caso di acquistare adesso auto, mobilia ed altro o sia meglio attendere tempi migliori. Con il rischio, se la risposta fosse largamente negativa, che l’inflazione possa mischiarsi con la stagnazione.

E guardando alle elezioni di “Midterm” del prossimo anno, che se dovessero andare male potrebbero azzerare la già piccola maggioranza di cui i repubblicani godono alla Camera dei rappresentanti, si è levata l’autorevole voce di  Ted Cruz per paventare un autentico “bagno di sangue” per il partito suo e di Donald Trump. Cruz è un importante senatore del Texas, e tra i più conservatori, che ha esplicitamente detto di temere un destino “terribile” per l’economia degli Stati Uniti se la guerra commerciale appena avviata fosse cosa di lunga durata.

Ma tornando alla possibilità del rischio che, alla fine Giorgia Meloni possa essere tentata di fare la don Abbondio c’è un’ultima notazione da fare. Sa benissimo che l’Europa, anche da lei sempre desiderata come poco di più che un’unione doganale, almeno su questo ha i pieni poteri e, pertanto, ogni dire è relativo. L’insistere con la negazione dell’evidenza sui dazi, pertanto, pare essere funzionale solamente ad affidarsi alla captazio benevolenza agli occhi di quei “bravi” d’Oltreoceano con cui intende mantenere relazioni politiche strettissime e sulle quali ancora punta in gran parte le proprie carte: altro che la difesa dell’interesse nazionale!, verrebbe da dire.

A Washington con Trump, e a Roma con il suo Vice Vance, dirà d’essere d’accordo con la difesa che l’economia europea deve inevitabilmente mettere in campo o proverà a sostenere che si è trovata con le mani legate da un’Europa assetata di vendetta? Risponderà cioè, come fece il povero e pavido curato  con i due bravi secondo il racconto del Manzoni:” Ma, signori miei, – replicò don Abbondio, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, – ma, signori miei, si degnino di mettersi né miei panni. Se la cosa dipendesse da me,… “. Stretta, molto stretta dalle cose. Con l’aggravante che, nel suo caso, Giorgia Meloni ha a che fare sia con i “bravi” d’Oltreoceano, sia con quello sempre più incombente a casa.

Giancarlo Infante 

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