Nel celebre Discorso di Caltagirone (24 dicembre 1905), che lo storico De Rosa considera come la Magna Charta del popolarismo, don Luigi Sturzo esprime il suo convincimento che i cattolici italiani “più che appartarsi” debbano intervenire nella vita moderna “per assimilarla e trasformarla“. Questi ultimi sono due verbi che, ancora oggi, stanno alla base dell’impegno politico. Assimilare la vita moderna, soprattutto in una “società liquida” come la nostra, significa conoscerla in tutta la mobilità delle sue molteplici configurazioni culturali, non per respingerla, ritirandosi, “appartandosi“, nel fortino dell’apologia o del disinteresse, bensì per contattarla ed entrare in dialogo con essa. Mai dimenticare che il dialogo è una delle principali consegne del Concilio Vaticano II. Il dialogo, però, va condotto sempre con spirito critico, per evitare le facili e comode acquiescenze a quelle posizioni politiche altrui che più o meno palesemente risultano contrarie ai fondamentali valori cristiani; il che è avvenuto spesso tra i cattolici negli ultimi decenni.

L’assimilare è in funzione del trasformare. Questo abbisogna, prima ancora di un programma di riforme sociali e istituzionali, di una forte presa di coscienza del primato della morale nella vita politica. Ma quale morale? Non certo quella minacciata dal “relativismo”. Relativismo vuol dire che ciascuno e ogni formazione politico-sociale si costruiscono una morale soggettiva, basata sulle proprie convinzioni ideologiche, sui propri interessi, sulle proprie convenienze e tornaconti economici, sul proprio potere politico, sulla propria potenza di diffusione e manipolazione mediatiche. In tale prospettiva, viene meno una morale oggettiva, valida per tutti, secondo cui il bene è bene e il male è male, sostituita da una pluralità di “morali” diverse, divergenti, contrastanti, in cui bene e male si mescolano, si fondono, si confondono. La conseguenza inevitabile è il rovinare della convivenza civile in una permanente conflittualità, decisa dalla “morale” del più forte, del vincitore, a danno della grande maggioranza dei vinti, vittime sovente della “cultura dello scarto”, lamentata da Papa Francesco.

Occorre, dunque, intervenire in politica, ma in quale campo? Don Sturzo non nutre alcun dubbio: i cattolici si impegnino come “rappresentanti di una tendenza popolare nazionale nello sviluppo del viver civile” E, poi, precisa: “Da soli, specificamente diversi dai liberali e dai socialisti, liberi nelle mosse, ora a destra e ora a manca, con un programma consono, iniziale, concreto e basato su elementi della vita democratica: così ci conviene entrare nella vita politica. Non la monarchia, non il conservatorismo, non il socialismo riformista ci potranno attirare nella loro orbita: noi saremo sempre, e necessariamente, democratici e cattolici“. Queste affermazioni, di tono profetico, suonano di ammonimento e di incoraggiamento nell’oggi, in cui i cattolici italiani si sono condannati, da soli, all’irrilevanza politica. Infatti, dopo la traumatica fine dell’unità partitica, i cattolici, anziché riscoprire e ritrovare una coesione di ideali, di principi, di intenti, si sono dispersi in ogni dove, “ora a destra e ora a manca“, in nome di un pluralismo, rivelatosi miope, illegittimo, devastatore, smarrendo la propria identità, prima ancora che politica, addirittura morale e dottrinale.

E dire che, proprio nel momento cruciale del passaggio dalla “prima” alla “seconda” Repubblica, Giovanni Paolo II, presago del disfacimento politico dei cattolici, aveva avvertito, con una Lettera del 6 gennaio 1994, i vescovi italiani: “Un bilancio onesto e veritiero degli anni dal dopoguerra ad oggi non può dimenticare tutto ciò che i cattolici, insieme ad altre forze democratiche, hanno fatto per il bene dell’Italia. Non si possono dimenticare cioè tutte quelle significative realizzazioni che hanno portato l’Italia ad entrare nel numero dei sette Paesi più sviluppati del mondo, né si può sottovalutare o scordare il grande merito di aver salvato la libertà e la democrazia…I laici cristiani non possono dunque, proprio in questo decisivo momento storico, sottrarsi alle loro responsabilità. Devono piuttosto testimoniare con coraggio la loro fiducia in Dio, Signore della storia, e il loro amore per l’Italia attraverso una presenza unita e coerente e un servizio onesto e disinteressato nel campo sociale e politico“. A questo forte esortare del Papa, i vescovi e i laici cristiani italiani di allora fecero orecchie da mercante. Ed ora?

Michele  Zappella

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