La Democrazia, il potere del popolo, in Italia sta morendo. Il suo declino è iniziato già da molti anni ed appare inesorabile. Bipolarismo e Presidenzialismo, se “costituzionalizzati”, finiranno per costituire gli atti finali destinati a stabilirne definitivamente il decesso. Al suo posto va insediandosi sempre più saldamente un sistema di Oclocrazia, di potere della massa.
Per capire il momento delicatissimo che la nostra Repubblica sta attraversando si dovrebbe innanzitutto cogliere la sottile (eppur profonda) differenza tra popolo e massa. Entrambi i termini potrebbero infatti essere confusi in una banale caccia al sinonimo, se li si intendesse con l’accezione di “folla”, come moltitudine di persone. Ma la loro differenza va ricercata in termini sostanziali e non numerici. È la qualità che fa il popolo, la quantità che fa la massa.
Un insieme di persone che, pur trovandosi in differenti condizioni economiche, sociali e culturali, sanno governarsi in una pluralità di intenti, senza cedere all’istinto brutale di prevaricare le une sulle altre, può essere definito popolo. Il popolo cerca l’armonia del bene comune, è cosciente e sa cosa vuole ottenere dal suo agire politico, pur nelle diversità ha una visione di governo che lo guida nella fondazione e formazione di una società migliore per tutti.
Non così la massa. La massa è un gruppo di persone che hanno volontariamente o inconsciamente rinunciato all’uso della propria ragione politica. Quando non vengono intrappolate dalla vana pratica dell’astensionismo, si trovano (più o meno consapevolmente) a proprio agio nel delegare le proprie libertà, reagendo con istinto passivo agli stimoli di una o più figure manipolatrici, che le muovono or qui or là facendo leva sulle loro paure e sulle loro povertà.
Quali siano le differenze dell’una e dell’altra tipologia di persone ce le spiega inoltre, a modo suo, Polibio. Lo storico greco, nel teorizzare la decadenza di una forma di potere democratico come fatto inevitabile e ciclico nel tempo, scriveva:
“Finché sopravvivono cittadini che hanno sperimentato la tracotanza e la violenza […], essi stimano più di ogni altra cosa l’uguaglianza di diritti e la libertà di parola; ma quando subentrano al potere dei giovani e la democrazia viene trasmessa ai figli dei figli di questi, non tenendo più in gran conto, a causa dell’abitudine, l’uguaglianza e la libertà di parola, cercano di prevalere sulla maggioranza; in tale colpa incorrono soprattutto i più ricchi. Desiderosi dunque di preminenza, non potendola ottenere con i propri meriti e le proprie virtù, dilapidano le loro sostanze per accattivarsi la moltitudine, allettandola in tutti i modi. Quando sono riusciti, con la loro stolta avidità di potere, a rendere il popolo corrotto e avido di doni, la democrazia viene abolita e si trasforma in violenta demagogia […].” (Polibio, Le Storie, libro VI, cap. 9, nella traduzione italiana di Carla Schlick, Mondadori 1955, vol.II, p. 98).
Gli italiani sappiano difendere la loro Costituzione, possano in ogni tempo salvare i suoi valori da un oblio cui tende, per sua natura, la memoria umana.
Erminio Zanenga