I tempi che corriamo ci fanno davvero riflettere sui componenti della nostra classe dirigente e sulla distanza che li separa da personaggi come Alcide de Gasperi, di cui ricordiamo il sessantottesimo anniversario della morte.

Competenza, esperienza, idealità, eleganza personale, metodo e fede autentica ci portano a constatare di come la progressiva e costante perdita di tensione morale e civile abbia investito, assieme, tutti noi, e con noi, l’intero Paese.

Non si tratta ovviamente di abbandonarsi a considerazioni scontate, del resto manifestate ampiamente da atteggiamenti di antipolitica, di anarchismo di pensiero e da populismo di cui tutti i giorni vediamo esempi davvero poco esaltanti. La distanza che esiste tra personaggi come De Gasperi e chi oggi ci governa non giustifica l’abbandono a giudizi sommari che non tengano conto di alcuni elementi fondamentali, necessari a non scadere nel qualunquismo più scontato e non utile alla definizione di tutte le questioni che oggi ci fanno ritrovare con il cosiddetto “Paese legale” lontano anni luce da quello “reale”.

Intanto, è cambiata profondamente la nostra società, così com’è mutato il complesso di quelle relazioni interpersonali che un tempo costituiva un cemento fondamentale per la coesione civile. Un mutamento in cui è davvero complicato il riuscire a trovare la causa ed effetto nell’interagire tra la struttura pubblica e corpo sociale. Come la società italiana riusciva ad esprimere allora De Gasperi, oggi dobbiamo a quegli stessi meccanismi se si determina il contrario. Esiste insomma una quantità di responsabilità che tutti noi cittadini ci dobbiamo assumere perché la classe politica, ma anche quella dirigente più in generale, è il nostro frutto. De Gasperi frutto del suo tempo. Soprattutto della sua capacità d’interpretare il “segno dei tempi”.

Quello che manca oggi a gran parte dei componenti il ceto dirigente. E non è cosa che riguardi solamente la parte politica. Dopo tanti decenni, paghiamo duramente il non aver messo mano alle regole, compreso quelle che si sarebbero dovute introdurre in continuità con lo spirito e la sostanza costituzionale. Per quanto riguarda la politica, rifulge la mancata applicazione dell’art. 49 della nostra Carta che avrebbe dovuto essere invece rafforzata con una serie di leggi e norme relative all’organizzazione dei partiti, alla loro trasparenza e alla loro democrazia interna. Ai tempi di De Gasperi i partiti, grandi e piccoli che fossero, assumevano comportamenti oggi assolutamente assenti in quelli che, in realtà, sono trasformati un comitati elettorali. Così compenetrati com’erano con il tessuto sociale, la vita vera dei cittadini, cui era data costantemente l’attenzione e l’ascolto necessari; non solo perché esisteva un altro sentire pubblico, ma anche perché al momento opportuno sarebbero stati chiamati a divenire elettori.

In quel contesto è evidente che i personaggi della vita politica esprimevano un’autentica capacità di analisi, di proposta e d’azione. De Gasperi rifulse perché riuscì a capire e a gestire il “contesto storico” in cui la sua azione doveva collocarsi. Un contesto che richiedeva fermezza etica in grado di irrobustire ed accreditare un’intera politica e su quella base esprimere la forza di aprirsi al confronto senza infingimenti, ma anche senza paura alcuna. Fu uomo, quindi, animato dallo spirito della “coalizione” anche quando la propria forza avrebbe potuto incitarlo a credere nel partito “maggioritario” ed autoreferente.

Fu intransigente nella scelta di campo, ma al tempo stesso, sulla base dei riferimenti del pensiero suo e del suo partito, fu socialmente aperto. Così, non esitò a tenere una posizione decisamente nei confronti di quegli ambienti conservatori che, ad esempio, erano contrari alla riforma agraria e all’autonomia energetica perseguita da Enrico Mattei. La stessa fermezza che seppe esprimere verso quell’integralismo cattolico che egli, come don Luigi Sturzo, considerava tra gli avversari da contrastare ad ogni costo.

De Gasperi sempre aveva creduto nella necessità di rendere concreto il forte pensiero che lo sorreggeva e non perse mai l’occasione per impegnarsi a quello scopo. Fu in effetti uno dei migliori interpreti del Pensiero sociale che tanto ha caratterizzato dalla metà dell”800 l’azione politica dei popolari europei ed italiani e che egli seppe attuare con una risoluta determinazione in relazione ai tempi concreti in cui ebbe la responsabilità della guida del Paese.

Oggi sicuramente ascolteremo l’intestazione di De Gasperi che proveranno a fare in molti, anche i nipoti di quei tanti che lo contrastarono, in alcuni casi anche velenosamente, da destra e da sinistra e vedremo in quanti ricorderanno la sua ferma difesa della Repubblica parlamentare, del patrimonio antifascista e di quell’anelito sociale rivolto ai ceti popolari.

Può darsi, purtroppo, che qualcuno se ne rivendicherà erede o qualcun altro continuerà ad indicare come eredi, o ereditiere, chi con De Gasperi non ha proprio niente a che fare. Come recentemente ha fatto l’on. Rotondi (CLICCA QUI) il quale oramai, si è specializzato nella irriverente distribuzione della patente di “De Gasperi” al punto di apparire uno di quei venditori russi che, sulle bancarelle, provano a piazzare gli stemmi con la faccia di Stalin. Una comica macchietta che non riesce a scalfire lo spessore di un autentico ed irripetibile statista come fu davvero De Gasperi.

 

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