In questi giorni di confusione e smarrimento cos’ha da dirci la chiusura dell’istruttoria del processo di “beatificazione” di De Gasperi?

Me lo chiedevo giusto ieri, tornando da Trento, dall’importante appuntamento, a tante voci, promosso da Lorenzo Dellai.
Trento, la città che tanta parte ha avuto nella vicenda umana e politica di Alcide De Gasperi.

In vita ed in morte. Fino a quel giorno del tardo agosto ‘54, quando il treno che accompagnava la salma di De Gasperi a Roma, mosse dalla stazione di Trento ed attraversò il nostro Paese, in un lungo pellegrinaggio. Ad un tempo dolente e festante, fermando in ogni stazione, in un imponente bagno di folla commossa fino alle lacrime. Quasi che il popolo italiano volesse fin d’allora, intuitivamente, decretare la santità di De Gasperi.

Il percorso della sua beatificazione,
anzitutto, chiarisce come la politica – quale troppo spesso è concepita dalla voce comune – non sia affatto, per sua natura, per forza di cose, il luogo della dannazione e la sentina di tutti i mali.

Non è vero che la politica sia, si direbbe, geneticamente, dunque necessariamente, sporca. Invece, secondo un sentimento diffuso, questa macchia sarebbe addirittura indelebile, nella misura in cui sarebbe, in qualche modo, sì deprecabile, eppure strutturalmente necessaria, in quanto, infine, espressione della forza e di quella certa aggressività sfrontata di cui il “politico” di razza non può fare a meno.

Sarebbe, cioè , pregiudizialmente escluso che la politica possa essere “mite” – cosa tutt’sffatto diversa dal moderatismo – e tanto più che la mitezza possa essere concepita come la radice più’ autentica e vera della sua forza. La “mitezza” che si potrebbe dire essere, contro ogni contrastante evidenza, la virtù necessaria nel tempo della complessità, cioè la capacità di accogliere tutte le voci, senza escluderne alcuna, provando, quanto piu’ possibile, ad armonizzarle.

Suggerisce, altresì, che la fede nulla ha a che vedere con un generico “buonismo”, con una postura ingenua che non regga il calore, la passione, talvolta la ferocia della controversia politica. Cosicché all’ “anima bella” di chi crede non resterebbe altro da fare se non sottrarsi alle acque spesso limacciose del fiume incontenibile della storia e, tutt’al più, affacciarsi timidamente ad affrontarlo purché lo possa fare con “moderazione”. Le cose non stanno così e lo dimostra la vita di De Gasperi. Come lo dimostrò, a suo tempo, Tommaso Moro, santo, patrono dei politici e dei governanti.

De Gasperi ci dice anche come la politica, l’esercizio attivo di un ruolo politico o istituzionale, sia sì una scelta libera e personale, ma pure, in molti casi, una vera e propria vocazione, come fossimo abitati dal nostro futuro ed attratti in uno spazio che ci precede e sa di noi più di quanto immaginiamo. Ci segnala, altresì – ma questo è, se mai, un profilo da approfondire in altra occasione – come non sia vera quell’ antinomia tra “individuo” e “persona” cui troppo spesso ricorriamo.

Il primo prelude alla seconda e la esige, ma pure quest’ultima può affermarsi solo alzandosi sopra quell’ “in-dividuo”, quel “non separabile” che, nel caso di De Gasperi, tiene inseparabilmente insieme la fede e la frequentazione del mondo, la preghiera e la responsabilita’ della politica.

Domenico Galbiati 

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