Deborah, una ragazza di Como, è stata sepolta qualche giorno fa. È morta stroncata da una neoplasia polmonare che non le ha lasciato scampo. Ha scoperto di essere gravemente malata pochi giorni dopo che ha saputo di essere incinta. Ha rifiutato di curarsi fino a quando ha partorito. Ha potuto stare con la sua bambina solo un mese e mezzo.
È una delle voci – la più sublime – che avrebbero potuto, negli stessi giorni risuonare, tra le altre, nell’ aula universitaria della Clinica Mangiagalli a Milano, dove gli studenti vicini a “Comunione e Liberazione” avevano convocato un incontro di testimonianze, raccolte dai volontari del “Centro di Aiuto alla Vita”. Testimonianze di donne che hanno scelto di affrontare a viso aperto difficoltà gravi, pagando di persona il prezzo di voler far nascere il loro bambino. A loro è stata negata la libertà di parola da un gruppo di facinorosi che, di fronte al coraggio ed alla forza di spirito che Deborah e le altre come lei hanno mostrato,
dovrebbero vergognarsi e, nel contempo, inchinarsi.