“Disertiamo il silenzio”.  Per richiamare l’opinione pubblica sul disastro umanitario che sta avvenendo a Gaza è stato lanciato l’invito in molte diocesi e parrocchie e suonare stasera, domenica 27 luglio, alle ore 22, sirene, campane, fischietti… Ce lo ricorda in questo articolo su ciò che sta accadendo a Gaza Alessandro Risso pubblicato su Associazione Popolari del Piemonte (CLICCA QUI)

Ha ragione padre Zanotelli ad esortarci a usare, di fronte a quello che sta da molti mesi succedendo nella Striscia di Gaza, il termine “genocidio”, anche se ci fa paura. Credevamo che gli orrori del Novecento avessero vaccinato l’umanità contro il ripetersi dei peggiori crimini volti allo sterminio di un popolo. A dicembre 2023 avevamo retoricamente chiesto se non fossero sufficienti 17.700 morti, quelli provocati dalla vendetta (altra parola cruda che potrebbe disturbare) degli israeliani a soli due mesi di distanza dalla “strage dei terroristi di Hamas del 7 ottobre (che) aveva causato 1200 morti, oltre ai 240 civili presi in ostaggio”.

E ponevamo altre domande: “Non bastano 12 palestinesi uccisi per ogni israeliano? A quale numero di morti si placherà la sete di vendetta del governo Netanyahu? Alle vittime dei bombardamenti aspettiamo di aggiungere quelle della fame e delle epidemie?”. A un anno e mezzo di distanza abbiamo risposte parziali ma certe: non sono bastati 50 palestinesi uccisi per ogni israeliano, dato che le vittime accertate sono circa 60.000; non si vede la fine delle uccisioni, dato che ogni giorno muoiono decine di civili sotto i colpi di soldati e piloti israeliani; infine, sì, stiamo aggiungendo le vittime della fame, soprattutto bambini.

Come uscire da questo orrore non lo sappiamo: forse solo gli Stati Uniti potrebbero fermare il governo israeliano, facendo leva su quella parte della politica e dell’opinione pubblica israeliana ed ebraica che non si riconosce nella strategia criminale di Netanyahu. Ma per il primo ministro di Israele la prosecuzione dello stato di guerra è essenziale per la sua sopravvivenza politica, e non si fermerà. La destra al governo sta attuando una evidente pulizia etnica nei territori palestinesi, non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania, con l’obiettivo di costringere alla fuga e alla diaspora la popolazione palestinese per realizzare la Grande Israele, dal Giordano al Mediterraneo (ne ha scritto qui Andrea Griseri).

In Occidente non si è voluta vedere questa realtà, neppure quando è diventata palese: anche pulizia etnica è un concetto che disturba quando viene evocato. Nel nostro piccolo mondo lo abbiamo utilizzato senza remore, come un dato di fatto. Siamo invece stati prudenti con il termine “genocidio”, perché le parole hanno un significato e un peso, in questo caso grevissimo. Ma, vista la realtà quotidiana lo possiamo usare senza remore, essendo poi stato pienamente sdoganato dalla relazione per l’ONU di Francesca Albanese, da un operatore di pace come padre Zanotelli (che parla anche di un nuovo apartheid) e persino da uno studioso della Shoah – ebreo e sionista – come Omer Bartov. I loro interventi pubblicati sono più eloquenti di ogni altra mia parola.

Solo un’informazione: se questa sera alle 22 sentirete un inconsueto scampanio e altri rumori insoliti, sarà perché parrocchie e semplici cittadini esprimeranno la volontà di farsi sentire per denunciare e rompere il velo di indifferenza e ipocrisia sulla tragedia, anzi, diciamo bene, sul GENOCIDIO che si sta consumando a Gaza. Anche solo per far sapere che non ne siamo complici.

Alessandro Risso

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