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Da cosa nasce oggi la guerra? E come lottare per la pace?

Lo spirito della guerra, il bellicismo, che sembra dilagare in Europa,  nasce e si alimenta in realtà proprio dalle parole.  E questo specialmente oggi , nella società cibernetica, in cui l’informazione è ubiquitaria e permanente, diffusa H 24.  Il pensiero, o la pratica   pacifista tradizionale ci hanno spesso abituato a pensare  altro, a ritenere più agevole e realistica la contestazione dei mezzi adoperati, piuttosto che quella dei fini perseguiti. E quindi a combattere la guerra attraverso la rimozione o eliminazione dei mezzi  che la producono, che la promuovono o che la rendono possibile. “Svuotare gli arsenali e riempire i granai” invocava tanti anni fa il presidente Sandro Pertini,  Costruire una società senza armi, distruggere le armi  come proponeva Carlo Cassola con altri pacifisti più “radicali”. Boicottare  chi produce armi o ostacolarne la produzione, boicottare le economie degli Stati più irriducibili nella loro volontà di dominio, sviluppare l’ obiezione di coscienza e propagandare i metodi non violenti di risoluzione dei conflitti. Superare infine il capitalismo visto come unico responsabile delle guerre moderne.

Obiettivi nobili e giustificati. Ma forse non gli obiettivi preliminari e prioritari nel tempo storico che ci è dato vivere. Da cosa nasce oggi la guerra “globale” e permanente che sembra impossibile fermare anche quando diviene massacro quotidiano? Qui si inserisce il ruolo del pensiero e della parola diffusa. E’ come se la guerra moderna “ibrida e globale” si fosse innestata entro un pensiero condiviso, per entrare subdolamente nel nostro senso comune, come fatto inevitabile, come dimensione invincibile ed inseparabile dall’essere umano.. E’ un mutamento antropologico  che è iniziato nel tempo, forse un trentennio fa con la guerra di Iraq e che si è consolidato  e ingrandito nel tempo come un tumore mortale.

Oggi la guerra non è più uno dei tanti mezzi con cui raggiungere obiettivi politici precostituiti. La guerra, combattuta non più solo con le armi,  è divenuta una sorta di  dimensione o tendenza universale, di mezzo universale e quindi di fine universale. La tendenza alla sopraffazione/competizione, si dice,  è parte non sradicabile e neppure dominabile della natura umana.  Eliminare i mezzi che generano la guerra non è dunque più sufficiente. Quali mezzi e quali strumenti dovremmo eliminare, se la guerra può rinascere dovunque e attraverso mezzi sempre diversi, se tutto è guerra o tutto può divenire guerra?

Un semplice cellulare, uno smartphone può diventare un’arma letale, se opportunamente programmato. Ma può diventarlo anche un virus, creato in laboratorio, il cibo ( quando viene negato) un drone, una tempesta informatica un cyber attacco, un uso indiscriminato dei dazi, una sanzione economica che magari impedisce il commercio di un medicinale salvavita. E’ la  weaponisation che è stata preannunciata alla vigilia della guerra si Ucraina   da Nicholas Mulder  in The econmic weapon- The rise of sanctions as a tool of modern war, 2022.

Ed è  un concetto che ricorre nei recenti documenti UE: è la realtà con cui realisticamente  ci dicono che dobbiamo fare i conti.

 Un  pensiero che produce  la pace

Per questi motivi non basta più  rimettere in discussione i mezzi della politica. La lotta per la pace deve trovare la forza per mettere in discussione i suoi fini.   Ed i fini sono formulati dal pensiero e quindi dalle parole, non sono costruiti dai tecnocrati. E’ sul pensiero diffuso che dobbiamo intervenire. Il problema è allora: di quale pensiero ci stiamo servendo  per formulare attualmente i fini della politica? E’ un pensiero umano o un pensiero artificiale, un pensiero “costruito”, una sorta di intelligenza artificiale che per osmosi si è ormai infiltrata nelle nostre menti e che “elabora” per noi le strategie necessarie nell’universo della competizione, della diffidenza e del rischio generalizzato? Chi ci ha dimostrato “scientificamente” che l’ homo sapiens è unicamente produttore di conflitto, che è nato per competere e per disputarsi con la forza le risorse necessarie alla vita, che è nato per essere “lupo” verso l’altro uomo? Chi lo può affermare apertamente senza cadere nel ridicolo? Eppure questo è ciò che pensano i “neo realisti” sostenitori della guerra e che tanti finiamo per accettare.

Usare la leva del pensiero, e cioè della parola autentica, quella che viene dal cuore e non solo dalla mente, può essere allora il primo passo, ma il passo necessario,  per fermare la guerra globale e “necessaria”,  perché soltanto l’intelletto ci può mettere in contatto con ciò che è per il cristiano la verità, la profonda armonia,  l’ ordo amoris che è la dimensione cui è chiamato l’essere  umano e per chi non  è cristiano, può comunque rappresentare pur sempre il modello su cui plasmare un ordine sociale e internazionale che sia diverso da ciò che dovremmo oggi  definire  ordo competitionis ( l’ ordine della competizione) che produce la guerra nelle sue forme diverse e nascoste, che oggi pudicamente definiamo “ibride”. Solo questo pensiero può esser lievito e fermento per un mondo riconciliato, per una pace affidabile, condivisa ed umana, oltre che giusta ( come non può non essere una vera pace) . Solo questo pensiero -un pensiero, sia pure sostenuto da una fede! Non la potenza delle armi  non la tecnologia né la loro deterrenza !-  può aprire la strada di una lotta vittoriosa per la pace.  Potrebbe essere davvero questa  una nuova “rivoluzione copernicana”. E’ presto per dirlo. Ma c’è un fatto assolutamente nuovo da sottolineare: la “scelta” ( o meglio, l’accettazione), da parte dei “potenti della terra”,  del Vaticano come sede dei possibili e difficilissimi colloqui di pace per porre termine al conflitto ucraino, una scelta condivisa  pare dalle parti in conflitto.  Un fatto nuovo e anche esso  sorprendente, su cui riflettere.

Umberto Baldocchi

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