Un Papato “sorprendente”?
Anche se è certamente presto per esprimere in merito valutazioni fondate, le novità del Papato di Leone XIV, pur nella continuità ”dialettica” con Papa Francesco, sembrano già presentare aspetti rilevanti, e forse, per certi aspetti anche sorprendenti. A prescindere dalle novità esteriori e superficiali, come l’”anomalia” della nazionalità del Papa.
Si può dire che attraverso la linearità di interventi che appaiono sempre densi, sintetici e ben calibrati, in genere con un contenuto pastorale e dottrinale lontano da espliciti riferimenti politici, emergono tracce di novità nella impostazione del percorso pastorale del nuovo Pontefice.
Per fare un primo esempio tratto dall’ Omelia di insediamento, Il nuovo Papato si propone di “gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi” ed, utilizzando come metafora il testo evangelico, descrive questo compito come quello di “ immergere nelle acque del mondo la speranza del Vangelo”.
L’impressione che se ne trae è che il nuovo Papa voglia indirizzare con decisione il rinnovamento, iniziato da Francesco, in direzione di un confronto aperto col nucleo centrale dei cambiamenti che incombono, con la epocale “crisi della modernità”, senza alcun timore e senza alcuna paura di “lasciarsi inquietare dalla storia”. Del resto l’ “inquietudine” umana sottolineata da Sant’ Agostino, come cifra distintiva della ricerca umana del divino, è citata proprio in apertura dell’ Omelia medesima.
Una “tradizione” necessaria per “guardare lontano” ?
Sembra che la prospettiva emergente sia quella di valorizzare, in questo confronto, le risorse del depositum fidei cristiano, di adoperare lo sguardo “lungo” offerto dai Vangeli, non come verità da imporre, ma piuttosto come “lievito di unità, di comunione, di fraternità” e cioè come elemento dinamizzante ed unificante di un mutamento che è necessario per riaprire le prospettive di speranza che oggi sembrano svanite. Il contesto in cui viviamo è infatti sempre più quello del nichilismo dell’uomo post-moderno, che vive nella prospettiva del cyborg, di una sorta di oltre-uomo, che costruisce il suo progresso “individuale” e narcisistico facendo affidamento su tecniche da lui sempre più indipendenti e sempre più extra-umane ( e talvolta disumane) come quella della Intelligenza Artificiale, alle sorgenti della nuova “questione sociale” del XXI secolo.
E queste prospettive di speranza- necessarie per umanizzare il futuro- sono quelle che, come Papa Leone sottolinea, ad esempio possiamo ritrovare nella tradizione culturale delle chiese orientali. E’ in questa spiritualità orientale che si “possono cantare parole di speranza nell’abisso della violenza” dato che in essa “ il senso drammatico della miseria umana si fonde con lo stupore per la misericordia divina così che le nostre bassezze non provochino disperazione ma invitino ad accogliere la grazia di essere creature risanate” ( Discorso del Santo Padre Leone XIV ai partecipanti al Giubileo delle Chiese Orientali, 14 maggio 2025).
Proprio questa tradizione straordinaria è ciò che consente alla Chiesa di “gettare lo sguardo lontano” e di assumersi il compito del confronto con la crisi che scuote la società e la Chiesa.
Il discorso sulla “pace” – un discorso dottrinalmente fondato, ma dagli indubbi risvolti politici- così presente nella Omelia e nei Discorsi iniziali del nuovo Papato può esser perciò considerato un esempio, tra gli altri, di questo ricorso innovativo e dirompente agli elementi “tradizionali” del depositum fidei.
Partire dalla parola, liberare l’intelligenza ( umana)
La frase “Disarmare le parole” che ha così colpito i commentatori ( Massimo Brundisini Disarmare le parole CLICCA QUI) e forse stupito anche gli auditori , a partire dai “potenti del mondo” pare offrire una prospettiva diversa alla costruzione della pace, rispetto alle strade sinora seguite. Partire dal “disarmo delle parole” non può essere considerato- e nessuno lo ha fatto, mi pare- una confessione dissimulata di impotenza, un passaggio retorico, o un pio desiderio. E’ invece già questa forse una delle modalità di questo “guardare lontano”.
Questo ritorno alla “parola”, pare quasi proporre un rovesciamento della realtà in cui viviamo e in cui la potenza materiale, economica e militare che schiaccia i popoli sembra ridurre al nulla il grido verso il cielo di chi chiede solo umanità, figuriamoci la semplice parola!
Ripensare le parole dentro di noi, guardare “dentro” le parole, ascoltare la “voce” delle parole, usare le parole secondo il rigore evangelico è infatti il primo modo per guardare lontano. Anche qui può essere richiamato a pieno titolo Agostino così frequentemente citato, e non certo per spirito di appartenenza, da Papa Leone.
Dove iniziare la ricerca umana ( e senza fine) della verità profonda di cui ognuno di noi ha bisogno? Che significa “gettare lontano” il nostro sguardo? Dove trovare questo “lontano”, se non , per riprendere il paradosso agostiniano, partendo da ciò che dovrebbe esser più vicino, cioè nelle profondità più recondite dell’animo nostro donde ha origine la parola sincera, con cui cerchiamola verità?
“ In interiore homine habitat veritas”( La verità abita nel profondo dell’uomo) ed alla sua ricerca si giunge “non locorum spatio, sed mentis affectu” ( non attraverso lo spazio, ma attraverso le passione della ragione). ( Agostino , De vera religione, XXXIX, 72). Partire dalla parola è scendere al cuore di quella “ricerca del vero” che è il senso della nostra vita, la “grande ricerca” ( “magna quaestio”) del “cammino di nostra vita”, E’ la ricerca effettuata dalla intelligenza umana, che è diversa da ogni Intelligenza Artificiale, perché è l’unica che può, attingendo ad un elemento trascendente interno non collocabile nello spazio esterno, individuare liberamente le finalità dell’azione umana. Ed è l’unica che non deve limitarsi a individuare soltanto i mezzi dell’azione umana, come può fare, molto meglio di lei, una raffinata Intelligenza Artificiale, che può operare sempre solo a partire dai dati ( sia pure quasi illimitati) che si collocano nello spazio.
E’ per questo motivo che la pace, se intesa come concordia ordinata e come fine supremo dell’umanità ( non come mezzo per ottenere altro o come una semplice tregua prolungata), può esser costruita solo da una intelligenza umana. Solo chi conosce i fini può stabilire una gerarchia tra i mezzi da impiegare. Se il mio fine è il dominio assoluto di un territorio, un massacro indiscriminato di civili può anche essere un mezzo efficace ed accettabile, anche se non apertamente dichiarabile. (Segue)
Umberto Baldocchi