Le vicende che hanno caratterizzato lo scontro attorno alla creazione dell’Intelligenza Artificiale negli ultimi giorni saranno probabilmente viste dagli osservatori europei come un’occasione per criticare il metodi governo di tipo nuovo che sembra essere sul punto di nascere a Washington e a Silicon Valley. Un vulcanico centro, la seconda, di innovazioni rivoluzionarie e di iniziative imprenditoriali che in certi momenti, dopo il lancio di ChatGPT, è quasi parsa essere non tanto – come direbbero i Milanesi – la “capitale morale” degli Stati Uniti, ma la loro vera capitale politica. Il centro nevralgico in cui si manifestavano i conflitti, e si creavano alleanze tra gruppi di interesse, portatori di proposte tecnologiche, di strategie industriali, e quindi di futuri politico-sociali probabilmente tra loro assai diversi.
Questi eventi, tuttavia, possono venire visti anche, in una dimensione più immediata, come un primo, ma importante, segno di possibile chiarimento nel paesaggio politico americano. Un segno quindi importante visto il quadro sempre più confuso che si è delineato nelle dieci settimane intercorse tra la vittoria di Donald Trump alle elezioni del 5 novembre e la solenne cerimonia della sua ascesa ufficiale alla Presidenza degli Stati Uniti d’America.
Il dato più importante in quel quadro – e il dato che sembra aver avuto un inizio di chiarimento – era, come tutti potevano notare, quello relativo al rapporto di strettissima collaborazione e quasi di identificazione del Presidente Trump con il suo più acceso sostenitore. Con un Elon Musk che – nello sbalordimento del mondo intero – era andato via via assumendo atteggiamenti da king maker. Atteggiamenti, peraltro così apertamente tollerati da Trump da far quasi pensare che il regime politico degli Stati Uniti fosse ormai caratterizzato da una sorta di diarchia.
Quel che è accaduto negli ultimi quattro giorni sembra invece aver redistribuito le carte in modo più intelligibile, anche se non per forza positivo: la nascita – con il fine dichiarato di costruire negli Stati Uniti infrastrutture e data centers – di Stargate, una joint venture tra partners, americani ed non. Da un lato, la ormai celeberrima OpenAI e la ben consolidata Oracle, e, dall’altro, MGX, una finanziaria di Abu Dhabi alimentata dal Debito Sovrano degli Emirati Arabi Uniti, più la giapponese Softbank, che ne avrà la responsabilità finanziaria e con Masayoshi Son la chairmanhip. Ad OpenAI andrà invece la responsabilità operativa della nuova struttura.
Un nuovo attore
Si tratta ovviamente di una struttura privata. Che, però, Trump non ha esitato a sponsorizzare politicamente, presentandola come la realizzazione di una cruciale parte del proprio programma politico: la raccolta – durante i quattro anni del suo term alla Casa Bianca – di 500 miliardi di dollari da investire per realizzare l’ambizioso – ma controverso ed anche temuto – progetto dell’AGI, l’Intelligenza Artificiale Generale.
Questa decisione di Trump non è però piaciuta a Musk, che possiede una propria startup dedicata all’IA. E che infatti – per la prima volta negli ultimi sei mesi – non si è fatto vedere ad un’occasione importante come la presentazione di “Stargate” da parte di Trump. E la ragione è che, notoriamente, e ormai da lungo tempo, Elon Musk è critico nei confronti di Sam Altman, CEO della principale componente di Stargate, di quella OpenAI, di cui pure egli era stato co-fondatore. L’uomo più ricco del mondo ha così dedicato buona parte della giornata di mercoledì 22 gennaio a criticare online, su X, la ex-Twitter, la creazione di questa nuova struttura. “In realtà non hanno i soldi”, ha detto, tra le altre cose. “Softbank, al momento, ha ben meno di 10 miliardi di dollari garantiti. Lo so da fonte attendibile”. Musk è parso favorire un altro investitore nel campo dell’intelligenza artificiale, affermando che Satya Nadella di Microsoft “ha sicuramente i soldi”. Ed ha persino ripetuto una sua vecchia battuta, suggerendo ad Altman e alla sua squadra, se vogliono “arrivare alla cifra di 500 miliardi di dollari per Stargate” di farsi una bella fumata di crack.
Inutile dire quanto ciò abbia irritato gli ambienti piuttosto compassati della Casa Bianca, un cui funzionario ha definito “furiosi”, per come Musk ha usato la sua diffusissima piattaforma di social media per versare acqua fredda su un accordo sulle infrastrutture che, solo un giorno, prima Trump aveva definito “tremendo” e “monumentale”. “È chiaro che ha abusato della vicinanza al presidente”. E poi che “il problema è che il Presidente non ha alcuna influenza su di lui, e che ad Elon non importa niente” delle critiche.
Trump, nel suo primo mandato, ha dimostrato di avere un’elevata tolleranza per il dissenso interno alla Casa Bianca. Tuttavia, questa volta, alcuni dei suoi collaboratori si sono detti “turbati” dall’eccessiva presenza di Musk. Ma Trump, quando i giornalisti gli hanno chiesto se Musk avesse mandato all’aria l’accordo, non ha dato molta importanza alla cosa. “Il governo non propone nulla. Sono dei privati: e ci stanno mettendo i soldi. Sono persone molto ricche, quindi spero che lo facciano”, ha detto Trump. E con tono confidenziale e sbrigativo ha persino aggiunto che non gli ha dato fastidio il fatto che Musk abbia criticato l’accordo, dicendo: “No, le cose non stanno così. Il fatto è che odia una delle persone coinvolte nell’accordo.”
Va detto, tuttavia, che l’annuncio trionfalistico sulla nascita di Stargate non aveva completamente convinto l’ambiente di Silicon Valley, anche perché trascurava totalmente il fatto che la persona scelta per essere al vertice di tale straordinaria realizzazione notoriamente era – e rimane – in un contrasto con Musk che non è solo personale, ma ha invece una importante dimensione politico-ideologica (CLICCA QUI), con il sostenitore cui Trump probabilmente deve il proprio successo elettorale, e in cui il suo king maker vede il suo peggiore personale nemico. E a proposito della cui capacità di raccogliere i capitali necessari all’impresa quale Musk non ha esitato ad esprimere i propri dubbi. Dubbi che però Il neo-Presidente, quando un giornalista – più o meno nelle stesse ore in cui il fratello più giovane di Elon Musk veniva ricevuto a Palazzo Chigi – glieli aveva fatti notare, aveva in poche parole messo da parte, come un dettaglio totalmente senza importanza.
Qualcosa è cambiato
La vera novità, però, è che questa volta Altman ha risposto direttamene a Musk su X: “Mi rendo conto che ciò che è fantastico per il Paese non è sempre ciò che è ottimale per le tue aziende, ma nel tuo nuovo ruolo spero che metterai l’America al primo posto”.
Un tono nuovo da parte di Altman, che per mesi, dopo l’aperto sostegno di Musk a Trump, era sembrato ridotto in un angolo nella posizione di un paria che chiedeva soltanto di non essere schiacciato. E un tono che ha confermato la notizia secondo la quale il giovane CEO di OpenAI sarebbe riuscito a coinvolgere nella questione alcuni contatti rivelatisi poi giusti. Tra cui quelli con Jared Kushner, marito di Ivanka Trump, figlia della prima moglie di Donald Trump. E che con attenzione ancora maggiore aveva cercato i buoni uffici del fratello minore di Jared, Josh Kushner, un importante azionista di OpenAI. E questi hanno evidentemente portato qualche successo visto il rapido capovolgimento della situazione.
Già qualche settimana prima, quando la “diarchia” Trump-Musk sembrava funzionare in perfetta armonia, Altman aveva quindi cercato di raggiungere il presidente eletto non solo attraverso vie semiufficiali, l’amministrazione, ma anche attraverso la famiglia.
E già ai primi di gennaio c’erano stati segnali che la posizione di Elon Musk stesse creando irritazione. L’influenza di Musk sull’amministrazione Trump aveva infatti non solo fatto si che Altman venisse visto come “persona non grata”, ma che anche altre personalità del mondo della tecnologia, come Tim Cook e Mark Zuckerberg, si fossero sentite a disagio, e che persino Jeff Bezos avesse incontrato, per via della onnipresenza di Musk, difficoltà nel tentativo di pranzare privatamente con Trump. Voci affidabili avevano poi riportato che c’era stata un’occasione in cui Sundar Pichai aveva chiamato Trump al telefono, e aveva poi capito che Musk era anche lui on the line. Ciò era stato riportato in termini assai espliciti dal Times of India che segue con estrema attenzione e in dettaglio gli avvenimenti di Silicon Valley, dove lavora un altissimo numero di super esperti indiani o di origine indiana.
Trump che, negli ultimi quattro giorni, in occasione della presentazione di Stargate, potrebbe apparire essersi spostato sulle posizioni dei peggiori nemici dell’uomo più ricco del mondo, non sembra tuttavia aver perso la fiducia nel buon senso e nel sentimento di interesse nazionale che anima molto spesso il “visionario” Elon Musk. Trump ha infatti accettato e tradotto in legge il punto di vista di quest’ultimo relativamente alla liberalizzazione dell’ingresso negli Stati Uniti del personale di alta qualificazione che possa essere utile allo sviluppo di questi progetti. E si tratta principalmente di personale indiano che già da un grande contributo allo sviluppo di questo settore in tutti gli Stati Uniti.
Molto è cambiato
Un tempo, circa quattro decenni fa, questo atteggiamento preferenziale nei confronti degli immigrati di alto livello scientifico-tecnico, sarebbe stato considerato fortemente negativo, e ad esso sarebbe stato attribuito il nome di Brain drain. Sarebbe stato cioè moralmente condannato per il danno che esso apporta ai paesi in via di sviluppo togliendo loro gli elementi più avanzati della società. Elementi già rarissimi, preziosi per il loro sviluppo. e che sono costati al paese di origine moltissimo; perché hanno dovuto studiare all’estero oppure hanno dovuto studiare con professori fatti venire dall’estero. Ad un costo cioè altissimo che impoverisce ancora di più i paesi poveri rispetto a quei ricchi.
Ma oggi il concetto di Brain Drain appare completamente dimenticato. E viene anzi considerato pericolosamente “progressista” aprire i paesi ricchi all’immigrazione di personale altamente qualificato proveniente dai paesi poveri. Dove mancano non solo gli scienziati, ma perfino quei medici e quegli infermieri che gli Europei trovano a loro disposizione quando vanno a curarsi negli ospedali e nelle cliniche di Londra.
Giuseppe Sacco