E’ disarmante la lettura del Manifesto dei Conservatori del Futuro, presentato lo scorso 27 maggio a Roma (CLICCA QUI). Affermazioni inappuntabili – ad esempio, in ordine alla dignità della persona – sono contestualizzate in un discorso francamente povero dal punto di vista culturale. Eppure la politica, anche a destra, dovrebbe esigere una visione, anzi essere di quest’ultima la declinazione orientata a costruire la città dell’uomo.

Il Manifesto si disperde nella in una carrellata di luoghi comuni, rimasticature di concetti in larga misura spenti, nati in un contesto storico differente dal nostro, ripetuti come un mantra rassicurante, incapaci di comprendere un tempo nuovo che ci interroga e, quindi, suscitare nuove categorie interpretative che ci consentano di decifrare la direzione di marcia ed il senso verso cui si sta incamminando la storia. E non nel segno della decadenza come, per loro inclinazione naturale, pensano, appunto, i conservatori, bensì come se nelle brume – che pur ci sono – di un tempo difficile, si cogliessero i bagliori di un’alba nuova.

In modo particolare i cattolici che vi aderiscono dovrebbero chiedersi: c’è motivo di credere che si possa aver fiducia nell’umanità, nelle sue risorse spirituali e morali, oppure dobbiamo rassegnarci al timore di un esito impensabile della storia, cosicché altro non resta se non cercare di ritardare il compimento di una tragica dissipazione dell’umanità?

Tornano in mente queste parole di Papa Giovanni: “….ci vengono riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano, però, i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro rovine e guai…. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura che annunciano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.  Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza che si realizzano in tempi successivi attraverso l’ opera degli uomini e spesso al di là delle loro aspettative….”.

La stessa occasione in cui furono pronunciate – l’ 11 ottobre 1962, nel discorso d’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II – conferisce loro particolare solennità ed un significato profetico che vale anche per i giorni nostri.
Come ci ha ricordato, peraltro, anche Papa Francesco che queste parole ha ripreso nell’ Esortazione Apostolica “Evangelii gaudium” ed alle quali vale la pena, credenti o meno, dare assenso e fiducia.

Domenico Galbiati

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