Non c’è dubbio: fu l’amore verso i poveri a distogliere il servo di Dio Luigi Sturzo dagli studi filosofici e a trascinarlo nell’attività sociale e politica, che egli considerò impellente per i suoi tempi e integrativa al suo ministero sacerdotale. Senza tale deciso cambiamento di rotta il mondo cattolico magari avrebbe avuto un filosofo in più, ugualmente degno degli onori degli altari, ma l’Italia e l’Europa occidentale, in un’epoca di crisi morale e istituzionale, non avrebbero potuto contare su un contributo politico in senso cristiano e democratico da parte dei cattolici e non avrebbero avuto un grande esempio di come si possa fare politica e pratica quotidiana di carità.

Luigi Sturzo – particolarmente sensibile alla questione sociale e impegnato, da sacerdote e da sociologo, ad affrontarne i vari aspetti e a indicarne le possibili soluzioni riconobbe – un ruolo di primo piano alla Società di San Vincenzo de Paoli. Scorgeva in essa una missione religiosa e pedagogico-assistenziale, che rilevava essere in armonia con gli scopi del suo fondatore Federico Ozanam, il quale – egli ricordava – diede vita alla «società di san Vincenzo de’ Paoli per educare la gioventù universitaria di Parigi di un secolo fa all’esercizio pratico e personale della carità, e così allo stesso tempo, per effetto di tale esercizio, conservare la fede religiosa e la purezza dei costumi.

Quanti giovani ha educati e salvati tale istituzione diffusa in tutto il mondo, Dio solo lo sa e va a merito del suo fedele e geniale servo. Purtroppo in non poche parrocchie, la società di S. Vincenzo non è più in mano a studenti e a giovani che l’hanno disertata» (1). Sturzo era consapevole e fiducioso che la Società di San Vincenzo De Paoli potesse e dovesse contribuire a salvare la famiglia, che oggi – egli denunciava – «è minata da tutti i lati; vi manca spesso quella compostezza di costumi, armonia fatta di reciproco compatimento, spiritualità intima, che è Stata sempre la grande tradizione cristiana». E per lui il rimedio era uno e uno solo: «Occorre ridare – scriveva – il senso della famiglia attraverso l’opera ausiliare della scuola, dell’azione cattolica ( …), della società di San Vincenzo, in una parola attraverso l’educazione pratica alla carità, che sviluppa allo stesso tempo lo spirito di apostolato e di pietà» (2).

Il sacerdote di Caltagirone conosceva le energie spirituali e le capacità organizzative dei «vincenziani». E, oltre a Federico Ozanam, ne indicava un campione e un modello in Pier Giorgio Frassati, che egli aveva avuto il privilegio di conoscere e di ammirare per la generosa opera da lui svolta nel Partito Popolare Italiano e nella Società di san Vincenzo, quale «risultato della sua fede intensa e della sua religione operante» (3). Sturzo apparteneva a pieno titolo alla Famiglia vincenziana, nella quale confluì per intero la sua stessa famiglia naturale. In America, nel lungo
periodo dell’esilio, essendosi dovuto più volte ricoverare per disturbi cardiaci, preferì sempre ospedali assistiti dalle suore vincenziane. Il fratello Mario, vescovo di Piazza Armerina, fu costante e manifesto sostenitore dello spirito e dell’opera di san Vincenzo. La sorella Nelina per l’intera esistenza fu socia vincenziana attiva e generosa e, nonostante tutto, Luigi da Londra le raccomandava sempre nelle lettere di ricordarsi della Conferenza di San Vincenzo De Paoli (4). La sorella Remigia si consacrò alla vita religiosa entrando con il nome di Suor Giuseppina nella Congregazione delle Figlie della Carità, istituita da San Vincenzo de Paoli, e visse per 45 anni, sino alla morte avvenuta il 20 gennaio 1928, nel monastero agrigentino fondato dal barone vincenziano Francesco Schifano per accogliere le giovinette povere.

Ciò spiega come e perché Caltagirone, paese natìo e di residenza della famiglia Sturzo, sia stata e sia una delle più solide roccaforti siciliane della Società di San Vincenzo de Paoli, che, proprio negli anni ‘20, ai tempi della nascita e dell’affermazione del popolarismo sturziano, ebbe come presidente l’avvocato Giovanni Nicastro e come segretario il futuro uomo politico e statista Mario Scelba (5), entrambi legati a don Luigi Sturzo.

L’amore di Sturzo per i poveri non fu un epidermico atteggiamento di filantropia. Non fu superficiale sentimentalismo. Fu un amore consapevolmente cristiano che, in quanto tale, aveva radici molto profonde ed era fondato – come lo stesso Sturzo ammetteva – sulla «fratellanza comune per la divina paternità» (6). In Sturzo, sacerdote vincenziano, esisteva una sociologia dell’amore che, attraverso una vita interamente dedicata alla realizzazione del bene comune e all’affermazione dei principi evangelici nella comunità civile ed ecclesiale, si sublimava in teologia dell’amore.

Chi volesse cogliere in tutta la loro interezza il significato e l’importanza di tali concetti, ne trova ampia trattazione nell’opera sturziana La vera vita, sociologia del soprannaturale (Zanichelli, Bologna, 1978), ristampata e rilanciata nel 2006 da Giovanni Palladino, a cura e con la presentazione del compianto mons. Luigi Giuliani, primo postulatore
della causa di beatificazione di don Luigi. È un libro indispensabile non solo per avvicinarci alla personalità e alla spiritualità del sacerdote vincenziano, ma anche per avere un’idea della incommensurabile valenza della sua santità. Scorrendo le pagine di questo volume ci si imbatte subito nell’eccezionalità di un autore che, con evidente coerenza, vive così come scrive e scrive così come vive.

A questo punto non può esserci migliore conclusione per questo mio breve intervento che riportare un brano della penultima pagina de La vera vita, in cui, attraverso le stesse parole di Sturzo, è possibile cogliere quale e quanta fede in Dio e quale e quanta nobiltà d’animo esistessero in questo sacerdote dei poveri. «Il cammino del cielo – egli scrive – parte dall’amore e arriva all’amore; l’amore fa conoscere la realtà, e la conoscenza di amore aumenta l’amore stesso. Il nostro aiuto affettuoso a quelli che soffrono ci porta a meglio conoscere e amare i nostri fratelli e a vedere in essi l’immagine di Dio, e tutto ci conduce a Dio, e per Lui e in Lui alla figliolanza adottiva che Dio ci ha elargito per sua grazia.

Non c’è altra via: chi non ama rimane nella morte, dice san Giovanni; l’amore, solo l’amore è vita; la mancanza di amore è superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola, lussuria; è l’egoismo che ci distacca dagli altri e da Dio, e ci condanna lontano da Lui e da ogni consorzio di bene. – La vera vita è amore: naturale e soprannaturale, umano e divino, sulla terra e nel cielo, in una funzione ineffabile nella quale noi pur assorbiti in Dio non perderemo la nostra personalità, ma la trasformeremo…» (7). È un inno all’amore che sgorga da un cuore innamorato di Dio e dedito ai fratelli bisognosi. Ogni ulteriore commento sarebbe effettivamente superfluo!

Eugenio Guccione

 

(1) L. STURZO, Problemi spirituali del nostro tempo, Bologna, Zanichelli, 1961, p. 91.
(2) Ivi, pp. 91-92.

(3) Ivi, p. 124.
(4) Lettera 574, Londra 27 ottobre 1930, in LUIGI STURZO – EMANUELA STURZO, Carteggio, A cura e con introduzione
di Vittorio De Marco, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, p. 333.
(5) LUIGI STURZO – MARIO SCELBA, Carteggio (1923-1956), A cura e con premessa di Gabriella Fanello Marcucci,
Introduzione di Francesco Malgeri, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1994, p.23.
(6) L. STURZO, La vera vita – Sociologia del soprannaturale, Bologna, Zanichelli, 1978, p.80.

 

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