Il titolo di un famoso articolo – scritto nel lontano 1923 – di Luigi Sturzo, costituisce per l’associazione “Forum al Centro” l’occasione per approfondire la questione del “nuovo centro” nel quadro del sistema politico italiano, considerando le possibili e auspicabili evoluzioni. Il confronto online si svilupperà sulla base della relazione introduttiva del direttore de “Il Domani d’Italia”, Lucio D’Ubaldo. Venerdì 24 settembre, dalle ore 18,30 su Zoom, si terrà il webinar, organizzato da “Forum al Centro”, dal titolo “il nostro centrismo”. Discuteremo insieme al senatore Lucio D’Ubaldo dell’attualità del pensiero e del testamento politico di don Luigi Sturzo. Dopo la relazione iniziale di D’Ubaldo ci sarà spazio per interventi e domande. L’incontro è libero e gratuito e basterà inviare una email a forumalcentro@gmail.com per ricevere il link al webinar.

IL NOSTRO CENTRISMO di Luigi Sturzo
(Articolo pubblicato sul “Popolo nuovo” il 26 agosto del 1923).
L’accusa che si ripete con insistenza da avversari e da ex-amici è che il partito popolare italiano vada a sinistra,
e che non è più un partito di centro. Questa topografia di destra, sinistra e centro deriva da un semplicismo politico, troppo banale; e poiché manca di contenuto specifico, crea confusioni equivoci ed errori, e forma pregiudizi deplorevoli. Vediamo di portare un po’ di ordine in queste idee confuse, anzitutto per intenderci fra di noi, e poi per obbligare gli altri a non fraintenderci, almeno quelli in buona fede, e non sono pochi.

1) Andiamo per eliminazione: il nostro centrismo non è una linea mediana fra i destri e i sinistri, come
a dire un colpo alla botte ed uno al cerchio, ovvero una specie di giudizio di Salomone, un’altalena di teoria
e di pratica politica, atta a scontentare tutti o a contentare un po’ per uno. Politica da equilibrista, che si
ridurrebbe in fondo a non sapere che pesci pigliare ed essere a Dio spiacente ed ai nimici sui. Questa
concezione è semplicemente esclusa; sia perché sarebbe un vero nullismo o un semplice opportunismo; sia
perché mancherebbe della logica programmatica, che fa discendere, da alcuni principii ideali e da vari
postulati fondamentali, le ragioni pratiche dell’azione e le posizioni politiche di lotta e di realizzazione.

2) Altra eliminazione: destra e sinistra nell’interno di un partito, di qualsiasi partito, che abbia
un’omogeneità sia pure elementare, cioè quella schematica del programma dello statuto e delle finalità,
non possono significare due correnti irriducibili avverse, che ciascuna pretende avere ragione e sopraffare
l’altra; poiché in questo caso si tratterebbe di due partiti o di due fazioni; non mai di tendenze nel seno
dello stesso partito, sia che tali tendenze fossero stabilizzate attorno ai problemi generali, sia che fossero
invece eventuali atteggiamenti su determinate soluzioni.

3) Terza eliminazione: il centrismo dei popolari non è una pura posizione parlamentare, come
elemento di equilibrio fra una destra reazionaria e una sinistra socialista, o come semplice integrazione
di governi liberali-democratici; simile interpretazione o figurazione topografica è stata smentita dalle
diverse combinazioni e dai vari orientamenti dei partiti in quasi cinque anni di esistenza del nostro
partito; il quale alla Camera si è trovato per tre anni di seguito (novembre 1919 – ottobre 1922) nella
necessità di partecipare a tutti i governi per formare la maggioranza governativa, ed ha cercato di
inserire nei vari programmi di governo, alcuni dei postulati pratici propri, quali l’esame di Stato, le
leggi agrarie, la libertà di commercio, il riconoscimento dei sindacati, la funzione del movimento
cooperativo e simili. Per questo il nostro gruppo parlamentare è stato avversato e tollerato dai vari partiti di governo,
che avrebbero fatto a meno dell’esistenza di questo terzo incomodo nell’attività parlamentare; ma che
per ragioni di numero erano costretti a cercarlo, a blandirlo, per poi spesso sopraffarlo. Questa
posizione parlamentare può non ripetersi; ciononostante il nostro partito resterà anche in parlamento
un vero partito di centro.

4) Spieghiamo allora cosa intendiamo per centrismo. Per noi il centrismo è lo stesso che popolarismo, in quanto il nostro programma è un programma temperato e non estremo: – siamo democratici, ma escludiamo le esagerazioni dei demagoghi; – vogliamo la libertà, ma non cediamo alla tentazione di volere la licenza; – ammettiamo l’autorità statale, ma neghiamo la dittatura, anche in nome della nazione; – rispettiamo la proprietà privata, ma ne proclamiamo la funzione sociale; – vogliamo rispettati e sviluppati i fattori di vita nazionale, ma neghiamo l’imperialismo nazionalista; e così via, dal primo all’ultimo punto dei nostro programma ogni affermazione non è mai assoluta ma relativa, non è per sé stante ma condizionata, non arriva agli estremi ma tiene la via del centro.
Questa posizione non è tattica. È programmatica, cioè non deriva da una posizione pratica di adattamento o di opportunità: ma da una posizione teorica di programma e di idealità. E la ragione di questa posizione teorica ha la sua origine in un presupposto che caratterizza la ragione etica della vita quale la vediamo noi al lume del cristianesimo: – noi neghiamo che nella vita presente si possa arrivare  ad uno stato perfetto, ad una conquista definitiva ad un assoluto di bene.

I socialisti dicono: il male viene dall’ordinamento borghese della società; bisogna abbatterlo, dopo verrà il novus ordo: essi sono estremisti, perché arrivano ad una concezione assoluta. I fascisti dicono: la nazione potrà prosperare solo quando sarà “fascistizzata” negli ordinamenti, nel pensiero, nella vita sociale; essi tendono ad un assoluto e quindi sono anch’essi “estremisti”. Chiamiamoli per pura comodità gli uni estremisti di sinistra, gli altri estremisti di destra, e ciò in riferimento alla società borghese; ma la tendenza “monopolista”, “assolutista”, “estremista” è nella natura del loro movimento.

Nel movimento popolare invece non c’è la futura età di Saturno, la città del Sole, il 2000, la
repubblica di Platone e simili ottimismi; perché la nostra fede cristiana e il nostro senso storico ci
portano a valutare la vita presente come un “relativo” di fronte ad un “assoluto”, e quindi diamo
valore fondamentale, anche nella vita pubblica, all’etica, che è per noi norma insopprimibile, e
superiore a quella che si chiama “ragion politica” o “ragione economica”; e questo ci dà il senso di
relatività, che incentra i problemi, e non li fa come per sé stanti, come fini assoluti da dover raggiungere
per un logico predominio e per una ferrea legge.

La mancanza di estremismo programmatico e finalistico, e il suo fondamento etico, che deriva dalla
concezione cristiana del popolarismo, contribuiscono fortemente ad escludere nei popolari estremismo
di metodo; cioè la realizzazione di mezzi rivoluzionari o violenti o antilegali. E mentre tutti i partiti,
che non appoggiano la loro etica sul cristianesimo, possono divenire rivoluzionari, nel senso di
sovvertire gli ordinamenti legali con la violenza con l’illegalismo e con la dittatura, il nostro partito
non può mai divenire rivoluzionario o violento, e se accede in casi concreti alle ragioni che muovono
altri a far le rivoluzioni, esso rimane sempre quello che il consiglio del partito, nell’appello del 20
ottobre 1922 (alla vigilia della marcia su Roma), chiamò riserva morale della nazione! – Sempre!
Questa è la natura e la ragione sostanziale del nostro centrismo come partito politico.

5) Ma se è così, perché mai ci dicono che il partito ora vada a destra, ora invece vada a sinistra?
Lasciamo stare i motivi polemici; ce ne son tanti e servono sempre agli avversari. I socialisti diranno
sempre che il partito popolare va a destra, a furia di dirlo, in cinque anni dovremmo essere già
all’estrema destra; e lo stesso vale per i liberali conservatori e oggi anche per gli ex-amici; per tutti
costoro il partito cominciò ad andare a sinistra appena sorto, e via via avremmo già superato i
comunisti: infatti ci dissero un tempo che eravamo peggio dei bolscevichi.

La verità è un’altra: – mentre il programma la natura del partito creano una ragione centrista sia
di sostanza che di metodo; la necessità di affermare il partito nella vita e di realizzarne i postulati crea
quelle che si chiamano posizioni di battaglia; ed è naturale che ogni posizione di battaglia trovi coloro
che resistono e che quindi fanno da antagonisti: altrimenti non vi sarebbe più lotta.

Infatti quando nel 1919 e nel 1920 ci opponemmo agli scioperi generali, i nostri antagonisti furono
i socialisti; quando nel 1920 iniziammo la campagna per la colonizzazione del latifondo e la riforma
dei patti agricoli, furono gli agrari ed i conservatori; quando nel 1921 iniziammo la lotta contro i
provvedimenti finanziari, il nostro antagonista fu Giolitti; quando nel 1922 sostenemmo l’esame di
Stato i nostri antagonisti furono i democratici sociali; quando nel presente anno abbiamo combattuto
la riforma elettorale politica, i nostri antagonisti sono stati i fascisti.

Destra o sinistra? Ma che c’importa della topografia! Chiamatela come vi pare, per noi è battaglia
oggettiva, concreta, logica, che risponde ai nostri principii, ai nostri postulati, alle esigenze politiche
del nostro partito. Se nel caso concreto, una nostra posizione di battaglia giovi o nuoccia ad una delle
frazioni politiche del paese, sia o non sia opportuna in un determinato momento, tutto ciò fa parte della
valutazione politica, che spetta ai dirigenti, ma non sposta la posizione di un partito che segue la sua
linea e tenta le sue realizzazioni; anzi manifesta una ragione di polarizzazione di altri partiti e gruppi
che vengono così costretti a valutare e rivalutare le posizioni da noi assunte.
Solo così siamo noi e tendiamo a far sì che il nostro pensiero e il nostro programma vengano discussi
dagli altri, e possano in parte o in tutto realizzarsi.

6) Alcuno dirà che perché un modo di esprimersi entri nell’uso comune deve avere una ragione;
non per nulla da parecchio tempo in Italia si parla di destra e di sinistra: ci deve essere una ragione.
L’osservazione è giusta, ma bisogna spiegare la portata di questa formula sintetica. Dopo la guerra,
per sinistra fu caratterizzato il movimento socialista e quell’altro social-democratico che lo favoriva;
per destra invece fu caratterizzato quello che vi si opponeva e che poi sboccò nel nazional-fascismo.
Fra questi due poli si svolse la nostra politica; e il terzo elemento, il popolare, per potersi piazzare
nell’opinione pubblica così orientata, avrebbe dovuto saltare il fosso e presentarsi o come sola destra
o come sola sinistra; il fatto che invece volle restar centro, cioè quello che era, diede alle due ali avverse
la spinta o a favorirlo o ad avversarlo.

Ora tutto il problema sta qui: c’è posto nella lotta politica per un terzo termine? Noi diciamo di sì,
e perciò vogliamo mantenerlo puro; invece questo negano oggi i fascisti e ci voglio decomposti, e ridotti
a massa di manovra clericale per comodo dei destri; questo negarono e negano i socialisti, che ci hanno
sempre conteso la possibilità dell’organizzazione operaia; e questo negano in parte anche gli amici o
ex-amici di dentro e di fuori, affetti dal morbo della filìa, che tenta creare nel partito la orientazione e
la stabilizzazione delle tendenze, le quali come gruppi a sé sono stati sempre combattuti e riprovati.
La filìa è un morbo, che deriva dalla poca fiducia e dalla poca convinzione della nostra ragione
politica di partito e dei suoi destini; perciò ci sono quelli che credono che è meglio dare al partito
popolare un po’ più di tinta democratica e sociale e fanno i filo-socialisti; i quali un tempo eccedettero
in cravatte nere e in canti di bandiere bianche e in filippiche anti-padronali. Altri invece che credono
che il mondo può essere salvato dal manganello meglio che dalla croce, almeno il mondo della
proprietà e della ricchezza; oppure che a metter l’ordine, anche senza giustizia e senza libertà, può
esser tollerabile la dittatura, e perciò divengono filo-fascisti; fino a votare la legge di riforma elettorale
che lede nel suo fondamento i principii costituzionali.

Ecco che gli uni e gli altri diranno che il centrismo del partito non è stato un bene; e che bisogna
andare o a destra o a sinistra. Superate le vostre filìe, abbiate fiducia nel partito popolare, come termine raggiungibile di attività politica e quindi anche di dominio delle nostre idee e delle nostre forze, e allora vi accorgerete che l’attività del partito segue la sua linea, la sua natura, la sua responsabilità puramente centrista, perché popolare. La filìa è come gli occhiali colorati che fanno vedere negli oggetti i colori che non ci sono. Oggi è
la volta del sinistrismo del partito; coloro che lo vedono sono proprio i popolari o gli ex-popolari filofascisti. Ieri quegli altri, i sinistri i filo-socialisti, vedevano invece che il mondo popolare andava troppo
a destra.

Sono le due piccole ali del partito che fan rumore, perché hanno troppe cose da dire agli altri, e
quasi mai delle cose serie e importanti da dire a noi. Questa è la storia, per noi ormai superata, della
destra e della sinistra.

Parliamo invece del  popolarismo che non piega né a destra e né a sinistra: questo è il nostro partito,

il vero partito di centro; in questo partito abbiamo fiducia, e vogliamo che esso superi le difficoltà
dell’oggi nella chiara visione del nostro programma e delle nostre finalità politiche e morali.

 

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